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La rilevanza clinica di un trial (I). Guida alla scelta degli outcome

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La rilevanza clinica di un trial (I). Guida alla scelta degli outcome
Antonino Cartabellotta

GIMBEnews 2009;6:2-3

Pubblicato: 9 settembre 2009

Copyright: © 2009 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Nel numero precedente abbiamo definito come la rilevanza clinica di un trial (RCT) sia influenzata da quattro variabili: l’end-point misurato, il numero di pazienti da trattare per ottenere un beneficio (NNT), il numero di pazienti da trattare per osservare un effetto avverso (NNH) e la precisione dei risultati di NNT/NNH espressa dai limiti di confidenza.

Questa prima puntata di una mini-serie sulla rilevanza clinica dei trial è dedicata alla selezione degli outcome.

1. Definizione
Outcome, end-point
.
Nella metodologia della ricerca clinica possono essere considerati sinonimi: entrambi hanno il significato di “misura di esito”.

2. Classificazione
Epstein e Sherwood (Ann Intern Med, 1996) classificano gli outcome in tre categorie.
Clinici. Mortalità (totale o causa specifica), eventi morbosi (infarto, stroke, frattura), misure fisiologico-metaboliche (colesterolo LDL, pressione arteriosa, densità minerale ossea).
Economici. Diretti (ospedalizzazioni, visite ambulatoriali, test diagnostici, farmaci), indiretti (giornate lavorative perse), intangibili (grado di sofferenza, stress psicofisico).
Umanistici. Qualità di vita, soddisfazione dell’utente, sintomi, status funzionale.

Considerato che qualunque intervento sanitario (preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo, palliativo) sperimentato in un RCT modifica in varia misura outcome appartenenti alle tre categorie, idealmente un trial dovrebbe misurare almeno un outcome per ciascuna categoria. In realtà, vengono sempre selezionati gli outcome clinici, molto raramente quelli economici e - solo recentemente in alcuni settori (oncologia, malattie croniche) - quelli umanistici.

3. Outcome primario e outcome secondari
In un RCT i ricercatori devono definire l’outcome primario e, eventualmente, uno o più outcome secondari. E’ bene precisare che l’aggettivo “primario” non caratterizza la rilevanza clinica dell’outcome, ma riveste solo un significato statistico: infatti, l’outcome primario è quello utilizzato per stimare la dimensione del campione. Pertanto, anche se può apparire paradossale, esistono trial con outcome primario surrogato e outcome secondari clinicamente rilevanti perchè non è obbligatorio definire un end-point rilevante, nemmeno a fini regolatori.

4. Outcome clinicamente rilevanti e surrogati
Gli end-point clinici vengono storicamente dicotomizzati in:

Outcome clinicamente rilevanti. Comprendono, oltre la mortalità, tutti gli eventi clinici morbosi che possono essere rilevati nel corso della storia naturale/post-terapeutica di una malattia.

Outcome surrogati. Sono variabili anatomico-fisiologico-metaboliche misurate con test di laboratorio / strumentali. Vengono utilizzati con la presunzione di dimostrare l’efficacia del trattamento su un end-point clinicamente rilevante senza misurarlo direttamente! Tale presupposto, teoricamente ineccepibile, è stato ripetutamente smentito: infatti, numerosi trattamenti efficaci su end-point surrogati (antiaritmici nel post-infarto, farmaci inotropi nello scompenso, terapia sostitutiva ormonale, fluoruri nell’osteoporosi, etc.), sono stati abbandonati perchè adeguate evidenze hanno dimostrato che, misurando l’end-point clinicamente rilevante, i pazienti non trattati avevano risultati migliori. Purtroppo, nell’ultimo ventennio, la rilevanza clinica della ricerca si è progressivamente ridotta anche per l’uso smodato degli end-point surrogati che - dalla prospettiva di chi finanzia la ricerca - presentano indiscutibili vantaggi: permettendo, infatti, di ridurre durata del follow-up e dimensione del campione, diminuiscono notevolmente i costi del trial. Senza entrare nel merito della spinosa problematica, le autorità regolatorie non hanno mai vincolato la rilevanza clinica dell’end-point all’approvazione di nuovi farmaci, anzi l’FDA utilizza gli studi condotti su end-point surrogati per il processo di accellerated approval!

Il “calderone” degli end-point surrogati, per definizione, contiene anche outcome con una certa rilevanza clinica. Ad esempio, per valutare l’efficacia di un trattamento con antivirali nei pazienti con epatite cronica B, i livelli di transaminasi, la viremia e il miglioramento del quadro istologico sono end-point surrogati per definizione, ma la loro rilevanza clinica è differente: infatti, solo la risposta istologica è predittiva di una riduzione delle complicanze della cirrosi. Questi outcome surrogati, validati da studi che ne dimostrano la predittività su end-point rilevanti, vengono definiti outcome intermedi.

In definitiva, piuttosto che essere dicotomizzati in surrogati e clinicamente rilevanti, gli outcome dovrebbero essere stratificati attraverso una scala di rilevanza clinica. In questa direzione va anche il GRADE - il nuovo sistema per effettuare il grading degli studi clinici ai fini della produzione di raccomandazioni cliniche nelle linee guida - che definisce una gerarchia quantitativa degli outcome clinici, utilizzando uno score numerico:

  • Score 1-3: outcome poco rilevanti per le decisioni cliniche e/o di limitata importanza per il paziente.
  • Score 4-6: outcome importanti per il paziente, ma non critici per le decisioni cliniche.
  • Score 7-9: outcome critici per le decisioni cliniche.

5. La validazione degli outcome surrogati
Esiste la possibilità di validare end-point surrogati ed utilizzarli come “veri sostituti” dei corrispondenti outcome clinicamente rilevanti? La risposta alle Users’ Guides to Biomedical Literature - “testo sacro” del critical appraisal - che hanno definito per gli end-point surrogati tre livelli di validazione.

  • Livello 1. Esiste un associazione stretta, indipendente e consistente tra l’end-point surrogato e quello clinicamente rilevante? Questo primo livello, necessario ma non sufficiente, viene fornito da studi osservazionali che dimostrano l’inferenza tra i due outcome.
  • Livello 2. Esistono evidenze sperimentali condotte con altre classi di farmaci, dove il miglioramento dell’end-point surrogato ha determinato un miglioramento di quello clinicamente rilevante?
  • Livello 3. Esistono evidenze sperimentali condotte con farmaci della stessa classe, dove il miglioramento dell’end-point surrogato ha determinato un miglioramento di quello clinicamente rilevante?

Ad esempio, tutti gli anti-ipertensivi sono validati ai livelli 1 e 2, mentre solo per alcune classi di farmaci esistono evidenze di validazione al livello 3.

6. Le raccomandazioni del CONSORT Statement
L’item 7 del CONSORT Statement - linea guida di riferimento per il reporting dei trial clinici - raccomanda ai ricercatori di “definire chiaramente l’outcome primario e quelli secondari e, quando applicabile, descrivere i metodi utilizzati per garantire la qualità della loro misurazione”. Ecco i dettagli:

  • Precisa definizione e descrizione degli outcome che, per garantire una certa rilevanza clinica al trial, dovrebbero essere clinicamente rilevanti o almeno intermedi.
  • Definizione di criteri standard per la misurazione degli outcome, che dovrebbe idealmente essere oggettiva.
  • Quando esistono inferenze soggettive (segni, sintomi, interpretazione di imaging, istologia, etc.), è necessario prevedere strategie metodologiche per la loro minimizzazione: blinding (se possibile), valutazioni multiple, training standardizzato degli outcome assessors.
  • Definizione della frequenza nella misurazione degli outcome e di eventuali “aggiustamenti”.
  • Reporting di tutti i metodi statistici, in particolare quando gli outcome primari sono multipli.

(continua nel prossimo numero)

KEY POINTS

  • La scelta degli outcome condiziona la rilevanza clinica dei trial
  • Outcome, end-point e misura di esito sono sinomimi
  • L’outcome primario è quello utilizzato per stimare la dimensione del campione, indipendentemente dalla sua rilevanza clinica
  • Gli outcome valutati nei trial appartengono a tre categorie: clinici, economici, umanistici
  • Gli outcome clinici possono essere clinicamente rilevanti, intermedi o surrogati
  • La maggior parte degli outcome surrogati sono assolutamente irrilevanti dal punto di vista clinico
  • Esiste una specifica metodologia per validare gli outcome surrogati
  • Il CONSORT statement raccomanda il “minimum data set” che i ricercatori devono riportare nei trial per dettagliare le informazioni sulla definizione e valutazione degli outcome