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Esiste un futuro per il Servizio Sanitario Nazionale?

Editoriale

Esiste un futuro per il Servizio Sanitario Nazionale?
I cittadini meritano risposte coerenti dal nuovo esecutivo
Antonino Cartabellotta

Evidence 2013;5(3): e1000037 doi: 10.4470/E1000037

Pubblicato: 28 marzo 2013

Copyright: © 2013 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Il 19 dicembre 2012 l’ex Ministro Balduzzi ha fatto “chiarezza sui numeri della sanità”: sommando le varie manovre finanziarie, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) dovrĂ  rinunciare nel periodo 2012-2015 a quasi 25 miliardi di euro. Contestualmente, un documento della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome riportava che i tagli — stimati in almeno 30 miliardi di euro — dal 2014 rischiano di portare al collasso il SSN, mettendo a rischio la possibilitĂ  di garantire tutte le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie oggi erogate sul territorio nazionale.

Ovviamente, se da un lato è legittimo chiedersi se la deriva economicista della politica può erodere il diritto costituzionale alla salute, dall’altro va ricordato a tutti i cittadini che l’articolo 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute e non alla sanità, oggi intesa come disponibilità illimitata e tempestiva di servizi e prestazioni sanitarie, incluse quelle inefficaci e inappropriate che aumentano i rischi per i pazienti, consumando preziose risorse, ma che soddisfano il cittadino-consumatore e garantiscono consensi alla politica.

In realtà, il “nodo” della sostenibilità non è “venuto al pettine” all’improvviso. Infatti, nell’ultimo ventennio diversi fattori hanno silenziosamente contribuito alla progressiva crisi di sostenibilità del SSN: il mutamento delle condizioni demografiche, economiche e sociali, la crescente introduzione sul mercato di false innovazioni tecnologiche, le conseguenze della modifica del Titolo V della Costituzione, il perpetuarsi delle ingerenze della politica partitica nella programmazione sanitaria, la “grande incompiuta” dei LEA, la gestione delle aziende sanitarie come “silos” in continua competizione, l’evoluzione del rapporto paziente-medico, l’involuzione del cittadino in consumatore di servizi e prestazioni sanitarie.

A fronte del progressivo indebolirsi della sostenibilità del SSN, la politica sanitaria si è limitata a sporadici “rattoppi”: infatti, dopo la L. 229/99 gli interventi legislativi sono stati dettati dalla contingenza, dall’urgenza e non certo da una programmazione coerente con i bisogni socio-sanitari della popolazione.

In questo contesto particolarmente critico, teatro di un confitto istituzionale tra Stato e Regioni dai toni ormai esasperati, il nuovo esecutivo dovrĂ  rispondere a una domanda fondamentale: il programma di Governo intende restituire definitivamente allo Stato la tutela della salute dei cittadini? In tal caso, sarĂ  indispensabile coinvolgere tutti gli stakeholders e attuare una linea politico-programmatica coerente, per fornire risposte di sistema a cinque questioni chiave per il futuro del SSN.

1. Il SSN è realmente sotto-finanziato? I dati dell’OCSE indicano che in Italia la spesa sanitaria (sia pubblica che privata) è inferiore a quella dei più importanti paesi europei. Al tempo stesso, nei sistemi sanitari avanzati non esistono evidenze scientifiche che dimostrano una correlazione positiva tra entità degli investimenti in sanità e miglioramento degli esiti di salute delle popolazioni. Infatti, in assenza di adeguate strategie per eliminare inefficienze e sprechi, le eventuali risorse aggiuntive rischiano di alimentare servizi e prestazioni inutili, determinando ulteriori sprechi. Continuare a lamentare un inadeguato finanziamento del SSN, oltre a fornire un alibi per smantellarlo, liberando lo Stato di una parte consistente della spesa pubblica, spianerà inevitabilmente la strada all’intermediazione finanziaria e assicurativa dei privati.

2. Il modello di politica sanitaria che ha generato 21 sistemi regionali deve essere ripensato? A fronte di un diritto costituzionale che garantisce “universalità ed equità di accesso a tutte le persone” e alla legge 833/78 che conferma la “globalità di copertura in base alle necessità assistenziali dei cittadini”, oggi le diseguaglianze regionali hanno raggiunto livelli inaccettabili, in termini di offerta dei servizi, di appropriatezza dei processi e di esiti di salute. Lo dimostrano evidenze a livello macro (adempimento del “mantenimento dell’erogazione dei LEA), meso (dati inquietanti del Programma Nazionale Esiti) e micro (Rapporto Nazionale sull’uso dei Farmaci in Italia). Pertanto, se la politica confermerà di voler tutelare l’autonomia delle Regioni, le capacità di indirizzo e verifica del Ministero della Salute sui 21 sistemi sanitari regionali dovranno essere ampliate e dotate di strumenti adeguati. In particolare, non è più differibile la definizione di standard clinico-assistenziali e indicatori di performance unitari per tutto il territorio nazionale.

3. La modalità di organizzazione e gestione delle aziende sanitarie è adeguata? Oltre alle diseguaglianze regionali, la pianificazione, organizzazione ed erogazione dell’assistenza sanitaria incontra numerosi ostacoli, in parte legati all’eterogeneità delle aziende sanitarie, in parte a modalità gestionali poco compatibili con il “prodotto salute”. Innanzitutto, l’approccio al management continua a essere guidato dalla produttività (output-driven) e non dai risultati di salute (outcome-driven): di conseguenza, la valutazione e il finanziamento delle Aziende sanitarie sono basati quasi esclusivamente sul binomio produttività-consumi. In secondo luogo, le differenti modalità di finanziamento tra aziende sanitarie che erogano gli stessi servizi generano interessi in competizione. Infine, esistono resistenze e difficoltà ad attuare varie modalità sovra-aziendali di organizzazione dell’assistenza sanitaria.

4. I professionisti sanitari possono contribuire alla sostenibilità del SSN? Secondo il principio di giustizia distributiva l’etica del razionamento appartiene alla politica, ma quella della riduzione degli sprechi è indissolubilmente legata alla professionalità dei medici, con le loro prescrizioni diagnostico-terapeutiche. Di conseguenza, guidate da un equilibrato mix di evidenze scientifiche e buonsenso tutte le categorie professionali (medici in particolare) dovrebbero identificare gli interventi sanitari inefficaci, inappropriati e dal low-value. Tali prestazioni, infatti, riducono l’efficacia dell’assistenza, aumentano il rischio clinico per i pazienti e determinano un ingente spreco di denaro pubblico, impossibile da identificare e contenere con i metodi di spending review utilizzati della politica. In assenza di tale contributo professionale è inevitabile che i tagli lineari attuati dalla politica finiscano per privare i cittadini di un numero sempre più elevato di interventi sanitari efficaci e appropriati.

5. Quali sono le responsabilità di cittadini e pazienti? Il SSN è a disposizione delle persone che di volta in volta assumono ruoli differenti: sono pazienti, quando presi in carico per problemi assistenziali, sono utenti quando si rivolgono per informazioni, transazioni, certificazioni, sono cittadini quando contribuiscono, con il loro voto, alle scelte politiche. Oggi la progressiva involuzione del cittadino in consumatore di servizi e prestazioni sanitarie fa il gioco della politica, perché la customer satisfation rappresenta un insostituibile strumento di consenso elettorale. Inoltre, solo pochi contribuenti sono consapevoli che la domanda inappropriata di servizi e prestazioni sanitarie concorre agli sprechi del SSN con pesanti ricadute sotto forma di imposte locali e di mancate detrazioni, in particolare nelle regioni in piano di rientro.

In condizioni di crisi economica tutte le attività, oltre che con la riduzione degli investimenti (tagli), possono essere sostenute ottenendo migliori risultati dalle risorse investite, previa identificazione e riduzione degli sprechi. Considerato che la politica è in grado di effettuare solo tagli lineari, la vera sfida per tutte le categorie di stakeholders consiste nell’identificare gli sprechi che aumentano i costi dell’assistenza, senza produrre alcun beneficio: il sovra-utilizzo di interventi sanitari inefficaci e inappropriati (overuse), il sottoutilizzo di interventi sanitari efficaci e appropriati (underuse), l’inadeguato coordinamento dell’assistenza, le tecnologie sanitarie acquistate a costi eccessivi, le complessità amministrative, le frodi e gli abusi. Questo obiettivo è perseguibile solo se tutti gli stakeholders, accantonando definitivamente gli interessi di categoria, sono disponibili a riallinearsi sull’obiettivo primario del SSN, ovvero “promuovere, mantenere e recuperare la salute fisica e psichica di tutta la popolazione”, secondo quanto afferma la legge 833/78 che lo ha istituito.

Il modello di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico è una conquista sociale irrinunciabile per l’eguaglianza di tutti i cittadini. Mettere in discussione la sanità pubblica, rischia di compromettere non solo la salute, ma soprattutto la dignità dei cittadini e la loro capacità di realizzare le proprie ambizioni che, in ultima analisi, dovrebbero essere viste dalla politica come il vero ritorno degli investimenti in sanità. Purtroppo, i governi che si sono alternati negli ultimi 20 anni hanno offuscato le prospettive dei cittadini italiani perché:

  • hanno permesso alla politica partitica (politics) di avvilupparsi in maniera inestricabile con le politiche sanitarie (policies), determinando scelte condizionate da vari interessi, da quelli piĂą nobili a quelli penalmente perseguibili;
  • non sono stati capaci di attuare il principio Health in All Policies, ovvero di orientare tutte le decisioni di politica (non solo sanitaria, ma anche industriale, ambientale, sociale), mettendo sempre al centro la salute dei cittadini;
  • accettano di essere continuamente ostaggio dell’industria, sia perchĂ© un’elevata domanda di servizi e prestazioni sanitarie genera occupazione, sia perchĂ© l’introduzione di specifiche misure di prevenzione rischia di ridurre posti di lavoro.

Il prossimo 23 dicembre ricorre il 35° compleanno del SSN, ma i cittadini italiani potranno festeggiare questa grande conquista sociale solo se le Istituzioni confermeranno che la fiscalità generale concorre a finanziare un SSN realmente pubblico, equo e universalistico.

Nel frattempo, in attesa di risposte concrete e coerenti dal nuovo esecutivo, la Fondazione GIMBE lancia il progetto Salviamo il Nostro SSN, consapevole che — come affermava Albert Einstein — “in mezzo alle difficoltĂ  nascono le opportunità”.

www.salviamo-SSN.it