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La somministrazione sottocutanea di eparina: semplice procedura operativa, numerose variabilitĂ 

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La somministrazione sottocutanea di eparina: semplice procedura operativa, numerose variabilitĂ 
Federica Davolio, Nunzio Panzera, Luca Corradini, Daniela Scacchetti, Paola Ferri

Evidence 2012;4(1): e1000002 doi: 10.4470/E1000002

Ricevuto: 15 gennaio 2012    Accettato: 29 gennaio 2012    Pubblicato: 7 maggio 2012

Copyright: © 2012 Ferri et al. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Background
La via sottocutanea è comunemente utilizzata per farmaci non assorbibili a livello gastrointestinale (quali l’eparina, l’insulina, l’eritropoietina), che richiedono somministrazioni in piccole quantità, con una diffusione lenta, ma costante nel tempo. Le eparine a basso peso molecolare (EBPM) sono ampiamente prescritte nella prevenzione e nel trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare, nella malattia coronarica, nella profilassi della coagulazione extracorporea nell’emodialisi e nell’emofiltrazione.

La somministrazione sottocutanea di EBPM è una procedura infermieristica molto frequente che può causare sia complicanze locali (ecchimosi, ematomi superficiali), sia disagi per il paziente, dal bruciore fino al dolore1,2. La comparsa di ecchimosi ed ematomi, così come la presenza del dolore nel sito di iniezione sono state valutate da Albanese et al.3: la frequenza di ematomi varia dal 13% al 38,3% delle iniezioni sottocutanee, mentre la durata del dolore nel sito di iniezione può durare da un minimo di 33,4 ad un massimo di 283 minuti senza differenze statisticamente significative tra i diversi tipi di preparazioni iniettate. Hadley et al.4 riportano una incidenza di ecchimosi del 69% e 79% rispettivamente con l’utilizzo di siringhe da 3 e da 1 ml. Il rischio di sanguinamento aumenta nella popolazione anziana e può determinare anche emorragie maggiori, con complicanze severe. La revisione della letteratura identifica 30 case reports di ematomi del muscolo retto conseguenti ad iniezione di EBPM5. Inoltre, le alterazioni cutanee e il dolore possono causare sentimenti di ansia e alterazioni dell’immagine corporea, comportando talora una scarsa compliance o addirittura il rifiuto del trattamento, oltre a una riduzione della fiducia nei confronti dell’infermiere2,6,7. Inoltre, la formazione dei lividi può ridurre le aree cutanee per le successive iniezioni2,6,7.

Tra i fattori di rischio coinvolti nella comparsa di queste complicanze, diversi sono correlati alla procedura di somministrazione da parte del personale infermieristico2,5, che di norma utilizza siringhe monodose pre-riempite. La scelta di una sede inappropriata per l’iniezione, l’utilizzo di un ago di diametro e lunghezza inadeguato, l’aspirazione prima dell’iniezione del farmaco, il massaggio della cute al termine della puntura possono compromettere l’integrità dell’area soggetta alle iniezioni sottocutanee8,9.

La letteratura suggerisce le seguenti tecniche per ridurre l’incidenza di ecchimosi, ematomi e dolore2,7,8,10,11,12:

  • scegliere il basso addome come sede di elezione;
  • valutare la sede di iniezione, valutandone l’idoneitĂ  (assenza di masse e dolorabilitĂ ) e la pulizia;
  • eseguire una accurata antisepsi della sede di iniezione;
  • adottare aghi di 25-27 gauge;
  • mantenere la bolla d’aria presente nella siringa;
  • inserire l’ago nella cute mantenendo un angolo di 90° ed effettuare una manovra meno traumatica possibile;
  • evitare di eseguire la manovra di Lesser;
  • mantenere la plica cutanea durante l’iniezione del farmaco13 (figura 1);
  • iniettare il farmaco lentamente (almeno 30 secondi);
  • applicare una lieve pressione sulla sede dell’iniezione, una volta completata.

Considerato che la somministrazione accurata e sicura dei farmaci è una delle più importanti responsabilità degli infermieri6, è fondamentale che questi professionisti eseguano una tecnica di iniezione che minimizzi gli effetti avversi7. Purtroppo l’esperienza clinica e la letteratura suggeriscono che esiste una notevole variabilità nell’esecuzione di questa procedura infermieristica14.

Obiettivi
L’obiettivo primario dello studio era valutare la variabilità nell’esecuzione della tecnica della somministrazione sottocutanea di EBPM da parte degli infermieri, evidenziando eventuali discrepanze rispetto alle evidenze scientifiche. Obiettivo secondario era valutare la fattibilità dello studio.

Metodi
Studio trasversale che ha utilizzato due strumenti:

  • Griglia di osservazione (figura 2) per valutare i vari step della procedura operativa; la griglia, costruita facendo riferimento alle evidenze scientifiche, è stata analizzata da un panel di esperti e successivamente testata su un piccolo campione per valutarne la completezza;
  • Scheda per la raccolta di dati socio-anagrafici degli infermieri che eseguivano le iniezioni (etĂ , genere, titolo di studio, anzianitĂ  di servizio totale e nell’unitĂ  operativa attuale); l’infermiere accertava, inoltre, se era disponibile una procedura scritta e se l’operatore effettuava una valutazione della sede dell’iniezione prima di effettuare l’iniezione.

Il campione osservato era costituito da 36 infermieri dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena appartenenti alle Unità Operative di Chirurgia, Ortopedia, Degenza Post-Acuzie e Pneumologia. L’osservazione e la breve intervista sono state realizzate nel mese di settembre 2010 da un unico osservatore appositamente formato che si recava, previo accordo, nelle UU.OO. al momento della somministrazione dell’EBPM. Mentre l’infermiere eseguiva la procedura l’osservatore compilava la griglia e successivamente raccoglieva i dati della scheda socio-anagrafica. Durante l’indagine l’osservatore ha mantenuto un atteggiamento più neutrale possibile, senza lasciar trapelare alcuna espressione oppure esprimere opinioni in merito alla conformità della procedura infermieristica. La valutazione da parte di un osservatore è stata impegnativa in termini di tempo, ma ha fornito informazioni più accurate rispetto all’auto-somministrazione di un questionario (self-audit). Lo studio è stato autorizzato dalla Direzione Sanitaria aziendale e successivamente con le Unità Operative (UU.OO.) sono stati definiti gli aspetti organizzativi per effettuare le osservazioni.

Risultati
L’intero campione (36 infermieri) ha dichiarato di aver effettuato una valutazione preliminare della sede di iniezione per accertare che l’area non fosse dolorante o infiammata, che fosse pulita, libera da masse, ascessi ed ecchimosi (tabella 1). L’86% degli operatori ha effettuato l’iniezione a livello addominale. La quasi totalità degli infermieri (89%) non ha atteso almeno 5 secondi tra l’antisepsi della cute e l’iniezione. La bolla d’aria presente nella siringa è stata impropriamente eliminata dal 17% degli infermieri. Il sollevamento della plica cutanea, per evidenziare il tessuto sottocutaneo, è stato realizzato da circa i 2/3 degli infermieri e solo il 39% di essi lo ha mantenuto durante l’iniezione del farmaco nel tessuto. Il 34% delle punture è stato effettuato con un angolo di iniezione diverso da 90° gradi. Il 6% del campione ha eseguito la manovra di Lesser. Nessuna delle iniezioni ha avuto una durata superiore ai 10 secondi. Nessun infermiere non ha effettuato il massaggio della sede di iniezione al termine della somministrazione. Infine, nessuna delle UU.OO. disponeva di una procedura scritta per la somministrazione sottocutanea.

Discussione
L’indagine conferma, in accordo con studi analoghi1,14, che esiste una notevole variabilità professionale nell’esecuzione di questa procedura operativa e la scarsa aderenza alle evidenze scientifiche. I nostri risultati mettono in evidenza, analogamente allo studio condotto da Alcahud Cortes et al.1, che gli infermieri tendono a non effettuare il sollevamento e il mantenimento della plica cutanea, manovre utili per reperire e mantenere il posizionamento nel sottocute. Il 14% delle iniezioni sono state effettuate in un’area diversa dall’addome, senza che vi fossero specifiche controindicazioni, nonostante Zeraatkari12 suggerisca che la scelta di questa sede è associata a una minore incidenza del dolore rispetto ad altre (braccia, cosce). Solo nell’11% dei casi è stato atteso un tempo sufficiente per fa asciugare l’antisettico. La bolla d’aria presente nella siringa, che il Trattato di cure infermieristiche10 consiglia di mantenere, viene eliminata dal 17% degli infermieri. L’angolo di iniezione è errato nel 34% dei casi, così come dal 28% degli infermieri di Albacete1, dove la letteratura di riferimento2 raccomanda di inserire l’ago con una angolatura di 90°. Inoltre, il 6% dei nostri infermieri – come il 14% dei colleghi spagnoli - esegue inopportunamente la manovra di Lesser che, oltre ad essere superflua, crea con l’aspirazione una pressione negativa nel punto di iniezione, favorendo la formazione di ecchimosi10. Tutti gli infermieri hanno effettuato l’iniezione in meno di 10 secondi, tempo che le ricerche pubblicate considerano troppo breve per rendere meno dolorosa la procedura e ridurre la comparsa di ecchimosi ed ematomi6,7,10,11,15. Due azioni condotte, invece, in maniera appropriata dall’intero campione sono state la valutazione dell’area cutanea e la decisione di non praticare il massaggio post-iniezione. L’esperienza condotta conferma la fattibilità dello studio.

Limiti
Il nostro studio ha una limitata generalizzabilità perché condotto su un numero limitato di infermieri appartenenti solo a quattro UU.OO; inoltre, la valutazione della conformità della procedura è stata effettuata da un osservatore unico.

Conclusioni
Questo studio pilota dimostra che è possibile quantificare le non conformità delle procedure operative: è utile indagare ulteriormente la procedura in altri contesti per aumentare sia la potenza dello studio che la sua generalizzabilità. I risultati ottenuti rendono indispensabile standardizzare l’esecuzione della procedura facendo riferimento alle evidenze scientifiche attualmente disponibili. Se da un lato la costruzione, l’implementazione e la verifica di una procedura aziendale potranno ridurre le numerose variabilità osservate nella pratica infermieristica, dall’altro la predisposizione di una guida all’autosomministrazione per pazienti e caregiver potrà rendere più efficace il ruolo di educatore dell’infermiere. Secondo il profilo professionale egli ha la responsabilità di garantire la corretta applicazione delle prescrizioni terapeutiche, ma anche di favorire la compliance alla terapia, il comfort ed il benessere della persona assistita.