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Overdiagnosis: la faccia oscura del progresso tecnologico?

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Overdiagnosis: la faccia oscura del progresso tecnologico?
Antonino Cartabellotta

Evidence 2012;4(2): e1000008 doi: 10.4470/E1000008

Pubblicato: 25 giugno 2012

Copyright: © 2012 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Il 16 maggio 2011 un sondaggio lanciato da MusicRadar, decretava il successo dei Pink Floyd per la copertina più bella di tutti i tempi: The dark side of the moon1. Un anno dopo (29 maggio 2012) il BMJ ha pubblicato un articolo dal titolo paradossale e inquietante2 che ha conquistato la Editor’s choice3: come prevenire l’overdiagnosis per smettere di danneggiare la salute. Ma quale filo lega l’overdiagnosis con la faccia oscura della luna?

Oggi si parla di overdiagnosis quando in soggetti asintomatici viene diagnosticata una malattia che non sarà mai sintomatica, né causa di mortalità precoce. Nel senso più ampio del termine, l’overdiagnosis include tutte quelle situazioni che contribuiscono a etichettare come malate le persone sane, con problemi lievi e/o a basso rischio: eccesso di medicalizzazione, interventi terapeutici non necessari (overtreatment), modifica delle soglie diagnostiche delle malattie, invenzione di nuove entità patologiche (disease mongering). La faccia oscura della luna è popolata da tutte le conseguenze negative di essere “etichettati” come malati (labeling effect), dai rischi legati a test diagnostici e trattamenti non necessari, dallo spreco di risorse economiche che potrebbero essere utilizzate in maniera più appropriata.

Anche se il driver fondamentale è costituito dal progresso tecnologico, numerosi fattori contribuiscono al fenomeno della overdiagnosis (box).

Driver dell’overdiagnosis

  • Evoluzione delle tecnologie diagnostiche che consentono di identificare “anomalie” anche minime
  • Interessi commerciali e professionali
  • Gruppi di esperti in conflitto di interessi che espandono continuamente le definizioni di malattia e definiscono nuove entitĂ  patologiche
  • Orientamento dell’autoritĂ  giudiziaria a condannare l’underdiagnosis, ma non l’overdiagnosis
  • Sistemi sanitari che incentivano la medicalizzazione
  • Percezione socio-culturale che “more is better” e che la diagnosi precoce non comporta alcun rischio

In particolare, quattro situazioni contribuiscono ad alimentare il fenomeno dell’overdiagnosis:

  • screening in soggetti asintomatici;
  • aumentata sensibilitĂ  dei test diagnostici in soggetti sintomatici;
  • overdiagnosis incidentale;
  • ampliamento dei criteri diagnostici delle malattie.

Screening in soggetti asintomatici. Consistenti evidenze scientifiche dimostrano che gli screening oncologici, identificano numerose lesioni non evolutive che non diventeranno mai sintomatiche, né saranno causa di mortalità precoce: si tratta delle cosidette pseudo-diseases o inconsequential diseases. Infatti, contrariamente alla percezione sociale che i tumori sono sempre malattie gravi e fatali, alcune neoplasie regrediscono, non progrediscono o crescono così lentamente che il paziente “muore con il tumore e non per il tumore”. Questi dati sono confermati da studi autoptici che rilevano nella popolazione generale un’elevata prevalenza di neoplasie subcliniche (mammella, prostata, tiroide) che “accompagnano” il paziente sino alla morte in maniera assolutamente silente. Analogamente, uno screening cardiologico in soggetti asintomatici e/o a basso rischio determina una overdiagnosis di aterosclerosi coronarica con conseguente overtreatment.

Aumentata sensibilità dei test diagnostici in soggetti sintomatici. Il progresso tecnologico ha determinato un progressivo aumento della sensibilità analitica sia dei test di laboratorio (in grado di rilevare concentrazioni sieriche sempre più basse), sia di imaging (capaci di identificare lesioni sempre più piccole). Questa evoluzione, se da un lato ha portato a valori prossimi al 100% la sensibilità clinica dei test diagnostici (capacità di identificare i veri malati), dall’altro ne ha enormemente diminuito la specificità (capacità di escludere i soggetti sani). Di conseguenza, se è sempre meno probabile che un test diagnostico risulti falsamente negativo in soggetti malati, il numero di falsi positivi cresce parallelamente all’evoluzione tecnologica. Di conseguenza vengono diagnosticate patologie sempre più lievi che continuano ad essere trattate con gli stessi approcci terapeutici delle forme moderate-severe, contribuendo a sovrastimare l’efficacia dei trattamenti.

Overdiagnosis incidentale. La diffusione indiscriminata delle tecniche di imaging che “esplorano” addome, torace, pelvi, testa e collo identifica lesioni incidentali in oltre il 40% dei soggetti sottoposti ai test diagnostici per altre indicazioni. Considerato che la maggior parte dei cosidetti “incidentalomi” sono lesioni benigne e che solo un numero molto esiguo di pazienti trae beneficio dalla diagnosi incidentale di un tumore maligno, la maggior parte di soggetti sperimenta ansia ed effetti collaterali conseguenti a ulteriori test diagnostici e terapie per una “anormalità” che non avrebbe mai causato alcun problema. Come dimostrano vari studi, il rapido incremento nell’incidenza di alcune neoplasie maligne, contrapposto a tassi di mortalità relativamente stabili, rappresenta una suggestiva conseguenza dell’overdiagnosis, dovuta sia allo screening, sia all’identificazione di incidentalomi.

Ampliamento dei criteri diagnostici delle malattie. La continua modifica dei criteri diagnostici di numerose malattie contribuisce a incrementare il numero di soggetti malati, tanto che oggi l’intera popolazione anziana risulta affetta da almeno una condizione cronica, nonostante goda di ottima salute. L’ampliamento dei criteri diagnostici riguarda sia malattie asintomatiche, come l’osteoporosi, sia condizioni come le disfunzioni sessuali femminili, dove semplici problemi comportamentali vengono classificati come malattie, identificando nuove entità nosografiche (diseases mongering). Ampliando le definizioni di malattia e abbassando i valori soglia, soggetti a basso rischio o con problemi molto lievi vengono “etichettati” come malati: considerato che in queste popolazioni si riducono i potenziali benefici dei trattamenti, aumenta la possibilità che il loro profilo rischio/beneficio sia sfavorevole. Ad esempio, molti soggetti trattati a lungo termine per valori di colesterolo quasi nella norma o una osteoporosi near-normal non sperimenteranno mai l’evento (sindrome coronarica acuta, frattura) che costituisce l’obiettivo del trattamento.

La modifica dei criteri diagnostici delle malattie viene effettuata da panel di esperti di organizzazioni e società scientifiche che mantengono relazioni finanziarie con l’industria farmaceutica e tecnologica che, ovviamente, trae diretto beneficio dall’espansione del pool di pazienti potenzialmente trattabili. D’altronde, l’industria mantiene ben salda l’influenza sui medici e sulla società, grazie al finanziamento di organizzazioni professionali, associazioni di pazienti, fondazioni di ricerca, campagne di sensibilizzazione sulle malattie, iniziative di formazione continua.

Oggi sono numerose le malattie in cui è stata documentata overdiagnosis: per alcune di queste le evidenze sono preliminari e in parte speculative, per altre invece più robuste e definitive (box).

Esempi di overdiagnosis

Asma: il 30% dei “pazienti” etichettati come asmatici potrebbero non essere affetti dalla malattia e il 66% potrebbero non necessitare di alcuna terapia.

Carcinoma mammario: sino a un terzo dei tumori identificati dallo screening potrebbero essere overdiagnosed.

Carcinoma tiroideo: la maggior parte dei casi che contribuiscono all’aumento dell’incidenza potrebbero essere overdiagnosed.

Carcinoma polmonare: almeno il 25% dei tumori identificati dallo screening potrebbero essere overdiagnosed.

Carcinoma prostatico: un tumore identificato con l’antigene prostatico specifico (PSA) ha un rischio almeno del 60% di essere overdiagnosed.

Diabete gestazionale: l’espansione della definizione classifica come malata almeno una donna gravida su cinque.

Embolia polmonare: l’aumentata sensibilità dei test diagnostici identifica emboli sempre più piccoli che potrebbero non richiedere terapia anticoagulante.

Insufficienza renale cronica: una controversa definizione classifica un soggetto su 10 come malato; notevoli preoccupazioni rispetto all’overdiagnosis di molti anziani.

Ipercolesterolemia: sino all’80% dei soggetti con colesterolo quasi normale in trattamento permanente con statine potrebbero essere overdiagnosed.

Osteoporosi: l’espansione della definizione di malattia si traduce nel fatto che molte donne a basso rischio trattate farmacologicamente hanno rischi superiori ai benefici.

Ma quali strategie “diagnostico-terapeutiche” potrebbero contenere il preoccupante fenomeno dell’overdiagnosis? Considerato che le forze trainanti sono radicate nella cultura della medicina e, più in generale, della società, numerose iniziative internazionali stanno provando a sensibilizzare professionisti, cittadini e politiche sanitarie.

  • Il 10-12 settembre 2013 il Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice in partnership con il Brititish Medical Journal, Consumer Reports e la Bond University australiana hanno organizzato la conferenza internazionale Preventing Overdiagnosis4.
  • Nel maggio 2012 gli Archives of Internal Medicine, hanno lanciato “Less is More”, una nuova sezione della rivista con l’obiettivo di espandere le basi scientifiche che un’assistenza sanitaria meno aggressiva migliora gli esiti di salute.
  • Il Brititish Medical Journal ha in programma la pubblicazione una serie di articoli sull’overdiagnosis in condizioni specifiche.
  • Il National Cancer Institute contempla l’overdiagnosis tra le prioritĂ  di ricerca del 2012.
  • Nuove linee guida propongono un atteggiamento meno aggressivo nel management degli incidentalomi e su alcune lesioni neoplastiche insistono sulla necessitĂ  di definire nuove soglie diagnostiche e metodi di valutazione finalizzati a non intervenire immediatamente, ma di osservarne l’evoluzione.
  • Al fine di rendere piĂą trasparenti i processi per definire i criteri diagnostici delle malattie, i National Institutes of Health in USA hanno proposto di escludere dai gruppi di lavoro i professionisti con rilevanti conflitti di interesse.

E’ indubbio che le legittime preoccupazioni sulle conseguenze dell’overdiagnosis non escludono la consapevolezza che ancora oggi molti soggetti non hanno accesso a tecnologie diagnostico-terapeutiche necessarie a mantenere e migliorare il proprio status di salute. Tuttavia, in questo momento particolarmente critico per la sostenibilità della sanità pubblica è indispensabile recuperare qualunque risorsa sprecata per erogare prestazioni sanitarie non necessarie e potenzialmente dannose. In tal senso, l’overdiagnosis, faccia oscura del progresso tecnologico, può assicurare grandi margini di recupero!