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Il processo decisionale condiviso con il paziente riduce la spesa sanitaria?

Editoriale

Il processo decisionale condiviso con il paziente riduce la spesa sanitaria?
Antonino Cartabellotta

Evidence 2013;5(12): e1000064 doi: 10.4470/E1000064

Pubblicato: 30 dicembre 2013

Copyright: © 2013 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

La crescente enfasi sull’assistenza centrata sul paziente richiede ai medici sempre più tempo e sforzi per coinvolgere i pazienti nelle decisioni terapeutiche; di conseguenza, è importante conoscere i reali benefici del processo decisionale condiviso (PDC), il cosiddetto shared decision making.

Oggi il PDC viene fortemente sostenuto perché i medici hanno l’obbligo etico di coinvolgere i pazienti nelle decisioni terapeutiche perché sono proprio loro – insieme a familiari e caregiver – a “subire le conseguenze” di queste decisioni. Inoltre, le evidenze dimostrano che un maggiore coinvolgimento dei pazienti li rende più informati e consapevoli nel valutare rischi e benefici delle diverse opzioni terapeutiche, oltre che più soddisfatti delle consultazioni cliniche (1).

Il PDC ha due obiettivi fondamentali: fornire ai pazienti informazioni complete sul profilo rischi-benefici delle diverse opzioni terapeutiche e considerare nel processo decisionale i loro valori e loro preferenze. Tuttavia, partendo dal presupposto che pazienti meglio informati dovrebbero scegliere opzioni terapeutiche meno “aggressive”, il PDC è stato recentemente invocato come strategia per ridurre gli eccessi terapeutici (overtreatment) e, di conseguenza, i costi dell’assistenza sanitaria (2,3). Ma le evidenze scientifiche oggi supportano l’uso del PDC per questi obiettivi?

Innanzitutto, la ricerca ha posto scarsa attenzione nel distinguere se gli effetti del PDC sono ottenuti sui pazienti o sui medici. Ad esempio, una revisione Cochrane che ha valutato l’efficacia degli strumenti di supporto decisionale per i pazienti – patient decision aids (PDA) – su screening e terapie riporta che “nel gruppo che utilizzava i PDA, rispetto all’assistenza tradizionale, la chirurgia maggiore in elezione è stata l’opzione scelta meno frequentemente dai pazienti” (1). Questa conclusione si basa sull’analisi di 14 studi pubblicati tra il 1995 e il 2009, molto eterogenei rispetto al contesto decisionale, al setting assistenziale e alle caratteristiche degli interventi. Inoltre, solo 5 studi dimostravano una riduzione della chirurgia maggiore e quasi tutti non distinguevano gli effetti del PDA ottenuti sul paziente da quelli sul medico. Nonostante i limiti, questa revisione sistematica continua ad essere citata per supportare il potenziale ruolo del PDC nel ridurre l’overtreatment. Analogamente, altri due studi frequentemente citati, non differenziano se gli effetti del PDC sono ottenuti sui pazienti o sui medici. Wennberg et coll. hanno valutato l’efficacia di un programma di gestione telefonica del paziente, rilevando che la strategia piĂą avanzata era associata a una riduzione dei costi conseguenti alla ridotta ospedalizzazione (4). Anche se gli autori sostengono che la riduzione del tasso di ospedalizzazione nel gruppo di intervento conseguiva a un maggior coinvolgimento dei pazienti nel processo decisionale, non vengono presentati indicatori di comunicazione durante i consulti. In realtĂ  è piĂą plausibile che la riduzione dei ricoveri sia legata alle influenze sulle decisioni dei medici, ad esempio attraverso una miglior gestione dei trattamenti e una maggiore intensitĂ  e continuitĂ  dell’assistenza ambulatoriale. Arterburn et coll. hanno valutato l’efficacia di un PDA sugli interventi di protesi d’anca e ginocchio, nell’ambito di un percorso assistenziale integrato (5). A tutti i chirurghi e ai membri dello staff veniva chiesto di prendere visione del PDA, di partecipare a incontri finalizzati al suo utilizzo e di revisionare i report mensili sulla distribuzione del PDA e sui volumi degli interventi chirurgici. Gli autori concludono che la diminuzione sostanziale degli interventi chirurgici su anca e ginocchio è dovuta agli effetti del PDA sulle preferenze del paziente per il trattamento, anche se di fatto era stato inviato solo a un terzo dei pazienti chirurgici e non ci sono dati sul fatto che sia stato realmente ricevuto o utilizzato. È piĂą verosimile che qualunque effetto del PDA sul tasso di interventi chirurgici sia prevalentemente dovuto alle influenze sui medici, ad esempio attraverso l’audit & feedback sugli interventi chirurgici.

Un secondo punto debole delle evidenze che sostengono l’importanza del PDC nel ridurre l’overtreatment e nel contenere la spesa sanitaria è la scarsa considerazione della complessità con cui i pazienti costruiscono ed esprimono le loro preferenze. Indubbiamente, uno degli obiettivi principali del PDC è garantire che i valori del paziente su benefici e rischi delle varie opzioni terapeutiche siano dedotti ragionando, vengano compresi in maniera esplicita e quindi utilizzati per le scelte terapeutiche. In realtà, la costruzione delle preferenze è una complessa interazione tra processi mentali intuitivi e deliberativi. Inoltre si conosce poco della stabilità di valori e preferenze del paziente confrontando le sue diverse esperienze terapeutiche nel tempo. In particolare, mancano studi che dimostrano che le preferenze inducano il paziente a scegliere trattamenti meno “aggressivi” rispetto alle opzioni proposte dai medici. Viceversa, alcuni studi suggeriscono che i pazienti hanno aspettative molto elevate nei confronti dei trattamenti (6,7) e che una loro maggiore influenza nel processo decisionale sposta le scelte proprio su interventi sanitari più “aggressivi” (8).

Un terzo limite è costituito dalla visione semplicistica della consultazione clinica: infatti, le generalizzazioni su condizioni sensibili alle preferenze del paziente (le cosiddette preference-sensitive conditions) non tengono conto dell’estrema variabilità del contesto clinico-assistenziale. Ad esempio, la chirurgia del carcinoma della mammella è stata frequentemente etichettata come condizione sensibile alle preferenze del paziente; tuttavia, sino al 20% delle donne presenta una controindicazione clinica alla chirurgia conservativa (9), una delle ragioni più frequenti che portano le donne a scegliere la mastectomia totale. Un’altra rilevante complessità delle consultazioni cliniche è la variabilità delle strategie diagnostiche, una delle principali determinanti che condiziona l’accettazione del trattamento. Ad esempio, variazioni nell’uso dei test di imaging come la risonanza magnetica o la PET per valutare l’estensione del carcinoma della mammella può influenzare le raccomandazioni del medico verso un trattamento più o meno aggressivo. Peraltro, la ricerca sul ruolo delle preferenze dei pazienti nella selezione dei test diagnostici è ancora molto limitata.

Oggi le evidenze dimostrano che il PDC migliora le conoscenze dei pazienti su trattamenti e percorsi assistenziali e aumenta la loro soddisfazione nelle consultazioni cliniche; tuttavia, sono ancora numerose le sfide aperte per raggiungere gli obiettivi del PDC. Infatti, le preferenze dei pazienti sono estremamente variabili e si conosce poco sulle modalità per integrare il desiderio di differenti livelli di coinvolgimento nel PDC. Indubbiamente le evidenze dimostrano che alcuni pazienti, disorientati dalla crescente complessità delle alternative diagnostico-terapeutiche, desiderano una “guida forte” del medico (10). Sotto questo aspetto, la breve durata delle consultazioni limita le opportunità del PDC, in particolare le possibilità di cogliere i valori e le preferenze del paziente.

Promuovere il PDC come strategia per arginare il potenziale overtreatment e l’incremento della spesa sanitaria distoglie l’attenzione dal suo ruolo fondamentale nella consultazione clinica. Inoltre, inflazionare eccessivamente il PDC può ostacolarne l’adozione se le aspettative diventano troppo elevate e i risultati attesi non vengono raggiunti. Queste incertezze, pur costituendo una forte motivazione per la ricerca futura, sottolineano che si conosce ancora troppo poco per affidare al PDC un ruolo nel ridurre gli eccessi terapeutici e la spesa sanitaria.