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Self-care management e family coaching: coinvolgere attivamente pazienti e familiari nell’assistenza domiciliare

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Self-care management e family coaching: coinvolgere attivamente pazienti e familiari nell’assistenza domiciliare
Lorenzo Righi, Edoardo D’Ippolito, Mauro Maccari, Ornella Poeta, Patrizia Calvelli, Carla Campolmi, Nicola Nante

Evidence 2014;6(3): e1000073 doi: 10.4470/E1000073

Ricevuto: 6 settembre 2013    Accettato: 16 dicembre 2013    Pubblicato: 25 marzo 2014

Copyright: © 2014 Righi. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Background
Negli ultimi anni, accanto all’aumento della prevalenza di patologie croniche, abbiamo assistito a continue politiche di spending review che limitano la disponibilità di risorse, in particolare professionali. Parallelamente è cresciuta l’importanza e la centralità dell’assistenza territoriale (1,2) che ha visto la sperimentazione di modelli assistenziali basati su self-care management (SCM), in cui i pazienti, adeguatamente supportati, assumono un ruolo attivo nella cura di sé stessi, e sul family coaching (FC) grazie al quale le persone più vicine ai pazienti (caregiver: coniuge, figli, badante, etc.) adottano misure di prevenzione del peggioramento delle loro condizioni. Un’efficace sistema di formazione, centrato su questi modelli, può aiutare a ridurre l’inappropriatezza degli interventi domiciliari, in particolare infermieristici (3).

Obiettivi
Nella Zona-Distretto Alta Val d’Elsa dell’AUSL 7 di Siena, è stata avviata dal 2008 una sperimentazione di modelli di SCM e FC, che prevede una reingegnerizzazione dell’offerta infermieristica territoriale con l’obiettivo di:

  • ridurre le richieste inappropriate di intervento domiciliare, rendendo piĂą autonomi pazienti e caregiver e offrendo loro un riferimento in caso di necessitĂ  (infermiere referente);
  • aumentare la qualitĂ  del servizio domiciliare;
  • valorizzare le professionalitĂ  coinvolte nell’assistenza territoriale, aumentandone la job satisfaction.

Metodi
Il progetto è stato sviluppato dagli infermieri della Zona-Distretto Alta Val d’Elsa. Dal luglio 2007, nella fase di preparazione (6 mesi) basata sul learning audit (4,5) , il team infermieristico ha:

  • condotto un’analisi epidemiologica finalizzata a facilitare l’organizzazione del servizio e a identificare i bisogni assistenziali gestibili con modelli di FSC e FC;
  • suddiviso il territorio in 3 sub-zone, caratterizzate da una analoga popolazione pesata, funzionali alla nuova organizzazione dell’assistenza;
  • istituito nurse team di 3 o 4 operatori con competenza specifica rispetto alle sub-zone, per consentire a ciascun paziente incluso nei servizi di avere un infermiere referente;
  • effettuato una revisione delle linee guida per: definire le patologie gestibili nei servizi da implementare; creare schede per valutare il bisogno formativo dei pazienti e dei caregiver; produrre tabelle per il planning-educativo contenenti la tipologia e la tempistica degli interventi per la formazione di pazienti e caregiver; redigere schede con le prestazioni da effettuare per ogni patologia includibile nel servizio; definire gli eventi sentinella per la verifica della qualitĂ  dell’assistenza;
  • prodotto opuscoli in italiano ed in altre 3 lingue in relazione alla nazionalitĂ  delle badanti operanti nell’area per agevolare la formazione dei pazienti e caregiver.

Durante la fase preparatoria l’efficacia del servizio è stata valutata attraverso il questionario Caregiver Burden Inventory (CBI) e la scala di Barthel. Il questionario CBI è stato selezionato in quanto consente di ricavare un indice che esprime l’effetto “complessivo” sul caregiver della richiesta di cura e di assistenza a livello fisico, psicologico e sociale. La sua natura multidimensionale permette di quantificare l’impatto dell’assistenza individuale all’anziano, fornendo concrete indicazioni relative al tipo di supporto di cui il caregiver potrebbe aver bisogno (6). Uno score superiore a 36 indica un soggetto ad alto rischio di burnout. Il questionario è stato somministrato al tempo 0 (T0), dopo circa 15 giorni (T15) e dopo circa 30 giorni (T30). Al tempo T0, T15 e T30 è stato inoltre valutato il grado di dipendenza dei pazienti over 65 tramite la scala di Barthel, uno dei più diffusi strumenti di valutazione della funzione fisica, che fornisce un punteggio indicativo delle capacità del soggetto di alimentarsi, vestirsi, gestire l’igiene personale, lavarsi, usare i servizi igienici, spostarsi dalla sedia al letto e viceversa, deambulare in piano, salire e scendere le scale, controllare la defecazione e la minzione. L’indice può assumere un punteggio che va da 0 a 100, dove il primo è correlato ad una dipendenza assoluta dal personale di assistenza (7).

La sperimentazione è iniziata nel gennaio 2008: gli infermieri del territorio avevano il compito di valutare, in modo partecipato con pazienti e/o caregiver , la possibile inclusione nel nuovo servizio, sulla base dell’analisi della cartella infermieristica e delle seguenti scale: Braden per il rischio decubiti, Conley per il rischio cadute, Barthel modificata e Mini Nutritional Assessment. Conseguentemente venivano programmate le attività di formazione a domicilio e veniva stipulato un “contratto assistenziale”.

Ogni percorso di formazione è stato gestito da un infermiere referente contattabile telefonicamente nelle ore di lavoro e responsabile dell’assessment, della formazione e della verifica dell’apprendimento. Il numero di incontri formativi poteva variare in base alla capacità di apprendimento dei soggetti. Al termine degli incontri veniva effettuato un esame pratico che, se non superato, comportava un ulteriore intervento formativo. Al termine del percorso veniva somministrato a pazienti e caregiver un questionario sul gradimento del servizio (scala da 1, valore minimo, a 10, valore massimo), creato ad hoc.

Ai fini della valutazione del servizio sono stati identificati due indicatori: la riduzione percentuale delle prestazioni infermieristiche a bassa complessità, considerate a maggior rischio di inappropriatezza, e l’aumento del numero assoluto di prestazioni infermieristiche ad alta complessità.

Risultati
Il questionario CBI è stato somministrato a 82 soggetti: i caregiver più frequentemente intervistati sono risultati essere figli (40%), coniugi (35%), nuore (10%) e badanti (7%). Durante la fase preparatoria l’indice CBI ha mostrato i seguenti trend: per i figli un punteggio medio iniziale di 35 e un punteggio medio finale di 26, per i coniugi un punteggio iniziale di 27 e punteggio medio finale di 22, per le nuore un punteggio iniziale di 41 e uno medio finale di 43 ed infine per le badanti un punteggio stabile di circa 25. Risulta quindi una riduzione media dell’ impatto del carico assistenziale di 2.75 punti (8.7%), conseguente soprattutto al cambiamento della percezione nei figli (- 9 punti in media, pari a una riduzione del 25%) e nei coniugi (- 5 punti in media, pari a una riduzione del 18% circa).

I pazienti tra i 65 e i 75 anni valutati nella fase preparatoria al T0, al T15 e al T30 hanno riportato un sensibile miglioramento dell’indice di Barthel con risultati pari a 64.5 al T0, 75,25 al T15 e 79 al T30, con un incremento del 22,5% (14,5 punti). Nei pazienti over 75 non si sono riscontrati sensibili miglioramenti.

Da gennaio 2008 a dicembre 2012 sono stati inclusi nel servizio 3.667 pazienti ed effettuate 20.044 attività di addestramento. Il numero totale di interventi infermieristici domiciliari (ovviamente escluse le suddette attività di addestramento di SCM e FC) è aumentato da 46.456 (nel 2007) a 52.767 (nel 2012).

In Alta Val d’Elsa la percentuale di prestazioni infermieristiche a bassa complessità è passata dal 57.5% nel 2007 al 51.4% nel 2012 mentre nelle altre Zone dell’AUSL è passata da 61.2% nel 2007 a 59.6% nel 2012.

Il numero di prestazioni infermieristiche ad alta complessità, sempre escludendo le attività di addestramento, è aumentato da 11.295 (24,3% del totale delle prestazioni) nel 2007 a 17.662 (33,5% del totale) nel 2012. Nelle altre Zone si è osservato invece una stabilità nel tempo di detta percentuale (da 21,2% a 21,3%). Il livello di soddisfazione nei confronti del servizio, valutato unicamente nel biennio 2008-2009, è risultato rispettivamente 9.35/10 per i pazienti e 9.1/10 per i caregiver.

Discussione
Secondo il breve studio svolto durante la fase preparatoria, i caregiver a maggior rischio di burnout risultano le nuore, in quanto non legate al paziente quanto un figlio o un coniuge, né remunerate per le cure prestate, che sembrano essere anche i soggetti meno inclini a ridurre il proprio stress durante il periodo di formazione. Un abbassamento del rischio di burnout si è invece ottenuto nei casi in cui il caregiver coincideva con il figlio o il coniuge.

Durante la fase preparatoria è emerso come un programma di formazione nei soggetti tra i 65 e i 75 anni può determinare un reale miglioramento delle condizioni generali, in linea con quanto riportato in letteratura (8,9,10), mentre nel caso di soggetti over 75 lo scopo principale del servizio coincide con il mantenimento dello stato di salute del paziente.

Gli esiti positivi del progetto sono legati da un lato alla efficacia intrinseca dei programmi di SCM e FC come dimostrato in letteratura (3,10,11), dall’altro alla volontà e convinzione degli operatori, protagonisti dell’ideazione e realizzazione del programma di formazione, che, attraverso un circolo virtuoso, hanno reso pazienti e caregiver a loro volta più partecipi e soddisfatti del servizio.

Grazie alla riduzione degli accessi infermieristici inappropriati conseguente ad una maggiore efficacia dell’autocura e dell’assistenza prestata dai caregiver, l’impegno professionale si è spostato su fasce di bisogno più elevato. La minor necessità di eseguire prestazioni a basso livello di complessità ha comportato una maggiore resa professionale degli infermieri del territorio, incrementando la job satisfaction.

Limiti
I valori CBI ottenuti nella fase preparatoria dovrebbero essere confermati da ulteriori studi svolti per un periodo più lungo e con maggior casistica. Il confronto tra le prestazioni delle quattro Zone è stato condotto senza aggiustamenti. Il questionario sul “gradimento del servizio” da parte di pazienti e caregiver non è validato.

Conclusioni
I nostri risultati sottolineano l’importanza di sostenere programmi di SCM e FC. Il processo assistenziale territoriale orientato alla presa in carico e non unicamente allo svolgimento di prestazioni contribuisce a rendere il paziente e la sua famiglia più autonomi nella gestione della patologia cronica. La partecipazione attiva dei cittadini al processo di cura comporta un miglioramento degli esiti di salute e risulta essere un servizio apprezzato da pazienti, caregiver ed operatori, pertanto di fondamentale importanza per la sostenibilità delle cure territoriali.