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Senza Aziende sanitarie non c’è futuro per il SSN, ma serve un approccio di sistema alla Clinical Governance

Conference Report

Senza Aziende sanitarie non c’è futuro per il SSN, ma serve un approccio di sistema alla Clinical Governance
Antonino Cartabellotta

Evidence 2014;6(12): e1000097 doi: 10.4470/E1000097

Pubblicato: 12 dicembre 2014

Copyright: © 2014 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Secondo l’evidence-based health care le conoscenze scientifiche dovrebbero guidare tutte le decisioni professionali, manageriali e politiche che riguardano la salute delle persone (1,2). In realtà, l’inadeguato utilizzo delle evidenze da parte di professionisti, manager e policy-maker, oltre che pazienti e caregiver, è documentato sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, a livello di cure primarie e nell’assistenza ospedaliera, in tutte le professioni sanitarie e discipline specialistiche. Questo inadeguato trasferimento delle migliori evidenze scientifiche determina asimmetrie informative e sprechi conseguenti al sovrautilizzo (overuse) di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriati e al sottoutilizzo (underuse) di quelli efficaci e appropriati (3). Di conseguenza, la sostenibilità di un sistema sanitario, indipendentemente dalla sua natura (pubblico, privato, misto) e dalla quota di PIL destinata alla sanità, non può prescindere da adeguati investimenti per migliorare la produzione delle conoscenze, il loro utilizzo da parte dei professionisti e la governance dell’intero processo di knowledge translation (KT) (4). Questo si realizza soprattutto nelle Aziende sanitarie, come “processo dinamico e continuo che comprende la sintesi, la disseminazione, lo scambio e l’applicazione delle conoscenze al fine di migliorare la salute, fornire servizi, prestazioni e interventi sanitari più efficaci e appropriati e contribuire alla sostenibilità del sistema sanitario” (5).

Un modello efficace di KT deve prevedere innanzitutto un adeguato processo di generazione, sintesi e “distillazione” delle evidenze, sino a ottenere per gli utilizzatori finali (professionisti sanitari, decisori e pazienti) prodotti fruibili e utili quali linee guida, health-technology assessement (HTA) report, strumenti di supporto decisionale per i pazienti (patient decision aids). Successivamente, ciascuna Azienda sanitaria è chiamata ad attivare il “ciclo delle azioni” (6):

  • definire le prioritĂ  clinico-assistenziali organizzative
  • identificare le evidenze da implementare, generalmente sotto forma di linee guida o HTA reports
  • adattare le evidenze al contesto locale in percorsi assistenziali che tengano conto degli ostacoli strutturali, tecnologici, organizzativi e professionali
  • identificare barriere e fattori facilitanti all’utilizzo delle evidenze
  • pianificare e monitorare una strategia multifattoriale per implementare e sostenere il cambiamento
  • monitorare l’impatto delle evidenze sui processi (appropriatezza) e sugli esiti assistenziali (efficacia).

Di conseguenza, piuttosto che affidarsi con ragionevole insuccesso alle capacità di aggiornamento continuo dei singoli professionisti (7), il management delle Aziende sanitarie, attraverso processi di innovazione e adeguati investimenti, deve governare l’intero processo di KT che prevede l’utilizzo sinergico di vari strumenti di clinical governance: EBM, linee guida e percorsi assistenziali, audit clinico, indicatori di performance, gestione del rischio, HTA, formazione e sviluppo professionale continui, coinvolgimento di cittadini e pazienti, ricerca e sviluppo, staff management, etc. La rilevanza di tali strumenti (8), oggi richiamati in vari articoli del Patto per la Salute 2014-2016 e dal “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”, è ulteriormente confermata dalla logica interpretazione di alcune affermazioni contenute nel Patto stesso. Infatti, se (9):

  • i “risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilitĂ  delle singole Regioni per finalitĂ  sanitarie”
  • le performance delle Aziende Sanitarie, in termini di erogazione dei LEA e di equilibrio finanziario, contribuiscono al risultato complessivo della propria Regione
  • la legge di StabilitĂ  ha confermato che “il conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali da parte dei direttori generali costituisce adempimento ai fini dell’accesso al finanziamento integrativo del SSN e comporta la loro decadenza automatica in caso di inadempimento” è inevitabile per le Regioni avviare e mantenere un virtuoso processo di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e riallocazione (in servizi essenziali e innovazioni), responsabilizzando e coinvolgendo attivamente le Aziende sanitarie e queste, a cascata, tutti i professionisti. In questo processo di disinvestimento e riallocazione si affermano come indiscussi protagonisti tutti gli strumenti della clinical governance, perchĂ© per garantire la sostenibilitĂ  del SSN il denaro pubblico oggi può solo finanziare servizi, prestazioni e interventi sanitari efficaci, appropriati e dall’high value.

Questo è stato il tema portante della Convention “Le Aziende Sanitarie per il futuro del SSN: competenze manageriali e professionali per una Sanità ad high value” (box) dove, dalla survey anonima (appendice) è emerso un notevole consenso sulle tematiche affrontate.

Le Aziende Sanitarie per il futuro del SSN: competenze manageriali e professionali per una SanitĂ  ad high value. Bologna, 21-22 novembre

Direttori generali, sanitari e amministrativi rappresentativi di 30 Aziende sanitarie hanno partecipato alla Convention nazionale, organizzata dalla Fondazione GIMBE in partnership con la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO). Nella sessione inaugurale Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, ha ribadito che la sostenibilità del SSN è strettamente legata al processo di disinvestimento e riallocazione, che non può fare a meno degli strumenti della clinical governance per favorire il trasferimento delle migliori evidenze all’assistenza sanitaria, riducendo asimmetrie informative, diseguaglianze e sprechi conseguenti al sovra- e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie. Francesco Ripa di Meana, presidente della FIASO, ripercorrendo la storia dell’aziendalizzazione, ha quantificato la “perdita di valore” conseguente al processo di sterilizzazione/abolizione delle Aziende sanitarie e identificato il fenotipo dell’Azienda sanitaria del futuro: una organizzazione “liquida”, caratterizzata da nuovi rapporti con l’esterno, nuovi assetti organizzativi, nuove responsabilità e forte enfasi sulla trasversalità. Due sessioni interattive hanno permesso di sondare le opinioni dei partecipanti su tematiche di estrema attualità. Massimo Annicchiarico (Azienda USL Bologna) e Angelo Tanese (ASL Roma E) hanno discusso degli strumenti necessari per garantire equità distributiva e allocativa di servizi e prestazioni sanitarie, illustrato le innovazioni organizzative che legano sostenibilità e governo clinico e affrontato il delicato tema della fusione delle Aziende sanitarie. Fausto Nicolini (Azienda USL Reggio Emilia) e Francesco Longo (SDA Bocconi), hanno approfondito rilevanti aspetti di gestione del capitale umano delle organizzazioni sanitarie, la misurazione e rendicontazione delle performance e le strategie per aumentare efficienza e produttività, mantenendo la qualità dei servizi.

Il report integrale dell’evento è disponibile a: www.gimbe.org/DG2014

  • Oltre il 90% ritiene che le ASL possono essere “produttori” di welfare, sia definendo un’autonoma politica di azione sul territorio (36%), sia su mandato regionale e di politica socio-sanitaria integrata con i comuni (57%).
  • Secondo l’86% gli strumenti della clinical governance costituiscono, anche se non da soli, l’ancora di salvezza per garantire l’universalismo del SSN.
  • Se il 43% ritiene che le fusioni di Aziende sanitarie servano solo alla politica per dimostrare capacitĂ  di riforma, per il 31% incrementano la governance delle reti di offerta, mentre per il 21% indeboliscono la capacitĂ  di risposta del sistema, meglio garantita da Aziende piĂą piccole.
  • Il 73% pensa che la holding regionale sia l’unica strada per la sopravvivenza dell’autonomia aziendale, mentre il rimanente 27% teme che costituisca la premessa alla perdita di autonomia.
  • Per il 90% il sistema di finanziamento può favorire l’integrazione delle Aziende sanitarie, in particolare vincolando la remunerazione delle Aziende ospedaliere a obiettivi di esito.
  • L’80% concorda che l’elemento che condiziona maggiormente l’attuazione delle innovazioni organizzative è la capacitĂ  della direzione aziendale di guidare e orientare il cambiamento, rispetto all’attitudine/disponibilitĂ  dei professionisti al cambiamento (13%) e alla presenza di linee di indirizzo regionali (7%).
  • Il 97% ritiene che la concentrazione delle prestazioni ad elevata complessitĂ , secondo le modalitĂ  definite dal regolamento sugli standard ospedalieri, è una riorganizzazione necessaria per mantenere la qualitĂ  dei servizi.
  • La totalitĂ  dei partecipanti riconosce che i percorsi assistenziali permettono di conciliare garanzia, sostenibilitĂ , appropriatezza e medicina centrata sul paziente.
  • L’ospedale di comunitĂ  per il 26% è economicamente vantaggioso solo se gestito interamente dalle cure primarie; per il 19% è l’unica possibilitĂ  per riconvertire strutture esistenti; per il 33% è indispensabile per attuare il chronic care model; mentre per il 22% è un modello organizzativo inapplicabile.
  • Nell’attuale quadro economico e contrattuale, le leve di gestione del personale piĂą efficaci sono la valorizzazione professionale (56%) e il riconoscimento esplicito non economico (30%). Rimangono al palo avanzamenti di carriera e riconoscimenti economici (entrambi al 7%), verosimilmente per la non fattibilitĂ .
  • L’integrazione tra le diverse professioni sanitarie è ostacolata in maggior misura dalla resistenza al cambiamento (66%), quindi da conoscenze e skills (21%) e dalle normative vigenti (10%).
  • Oltre il 60% ritiene che gli standard di competence professionale per valutare conoscenze, skills e attitudini dei professionisti sanitari devono essere definiti dalle istituzioni centrali o regionali, in particolare attraverso i requisiti di accreditamento regionali (43%); per il 21% il compito deve essere affidato a societĂ  scientifiche/Ordini e Collegi Professionali; mentre il 20% lo ritiene superfluo anche per il rischio di una eccessiva burocratizzazione.
  • Tutti ritengono che nel bugdet debbano essere integrati indicatori di qualitĂ  tecnico-professionale, in particolare di appropriatezza (64%).
  • Grande disponibilitĂ  alla trasparenza, considerato che oltre il 90% ritiene che le performance professionali e dei team devono essere rese pubbliche: 46% anche all’esterno dell’Azienda, 31% solo all’interno dell’Azienda e 15% solo all’interno del team.
  • Secondo l’81% la compatibilitĂ  tra appropriatezza e produttivitĂ  è un obiettivo realistico in tutte le Aziende sanitarie; per coniugare produttivitĂ  e appropriatezza nettamente preferiti gli strumenti di governo clinico (58%) rispetto al lean management (7%).
  • L’efficacia del processo di disinvestimento e riallocazione sarĂ  condizionato in prevalenza da direttive regionali (20%), strategie manageriali (44%) e adeguato coinvolgimento e responsabilizzazione dei professionisti (36%).

Appendice. I risultati della survey. Parte I

Appendice. I risultati della survey. Parte III