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Evidence-based Medicine e processo decisionale condiviso: competenze integrate per la professione medica

Editoriale

Evidence-based Medicine e processo decisionale condiviso: competenze integrate per la professione medica
Antonino Cartabellotta

Evidence 2015;7(1): e1000102 doi: 10.4470/E1000102

Pubblicato: 31 gennaio 2015

Copyright: © 2015 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Evidence-based medicine (EBM) e processo decisionale condiviso (PDC) — shared decision making — sono due competenze professionali indispensabili per migliorare la qualitĂ  dell’assistenza, ottimizzare l’utilizzo delle risorse e migliorare l’esperienza di cura dei pazienti, ma la loro potenziale sinergia continua ad essere sottovalutata (1).

Secondo David Sackett, l’EBM “inizia e finisce con il paziente” (2): infatti, il medico dopo aver identificato e valutato le migliori evidenze disponibili le integra, alla luce della propria esperienza, nelle decisioni cliniche rispettando i valori e le preferenze del paziente. Questo, di fatto, è lo step più complesso e meno documentato dell’EBM, spesso criticata per ignorare valori e preferenze del paziente (3).

Attraverso il PDC, medico e paziente collaborano per raggiungere una decisione condivisa dopo aver valutato insieme rischi e benefici delle differenti opzioni diagnostico-terapeutiche, tenendo in considerazione valori, preferenze e condizioni specifiche del paziente. Di fatto, il PDC rappresenta l’intersezione tra le capacità comunicative centrate sul paziente e l’EBM, con l’obiettivo di garantire “la migliore assistenza basata sulle migliori evidenze”, nel pieno rispetto delle preferenze del paziente.

EBM e PDC si sono evoluti parallelamente e in maniera indipendente, ma nessuno dei due approcci può raggiungere i propri obiettivi in assenza dell’altro, rendendo indispensabile una proficua convivenza (3). Innanzitutto, in assenza di un adeguato PDC, l’EBM non può essere attuata, perché le evidenze non verrebbero esplicitamente introdotte nella consultazione clinica, discusse con il paziente e integrate nelle decisioni. Infatti, il medico che pensa di intuire le preferenze del paziente commette un clamoroso errore, perché i pazienti costruiscono le proprie preferenze informate solo attraverso riflessioni informate dalle evidenze. Dal canto loro, i pazienti che devono poi attuare le decisioni condivise e convivere con le loro conseguenze, dovrebbero essere consapevoli che solo il PDC permette di integrare i propri valori e preferenze con le evidenze e le competenze del medico. Analogamente, senza un adeguato riferimento alle evidenze scientifiche, il PDC risulta sterile perché vari step del processo di comunicazione e condivisione con il paziente sono indissolubilmente legati all’EBM. Ad esempio, per discutere con i pazienti della storia naturale della loro malattia o dei benefici-rischi delle varie opzioni diagnostico-terapeutiche non si può prescindere dalle migliori evidenze disponibili. Se queste non vengono prese in considerazione dal PDC, le preferenze dei pazienti non saranno realmente informate, anche se condivise con il medico.

In realtà, EBM e PDC non sono nemmeno "separati alla nascita": infatti opinion leader, ricercatori e docenti dei due approcci si sono formati, hanno lavorato, collaborato e pubblicato in contesti differenti. Ad esempio, nel 1997 Charles C et coll (4). hanno definito il PDC come competenza core della comunicazione medico-paziente, senza alcun riferimento all’EBM che in quegli anni, peraltro, muoveva i suoi primi passi (2). Dal canto suo, affondando le radici nell’epidemiologia clinica, l’EBM si è focalizzata principalmente su metodi e strumenti per facilitare la ricerca, la valutazione e la sintesi delle evidenze, dedicando poca attenzione a come condividerle con il paziente e integrarle nel processo decisionale. Inoltre, se l’EBM ha enfatizzato problematiche che condizionano integrità e trasparenza della ricerca (risultati non pubblicati, bias e distorsione dei risultati, conflitti di interesse) e i traguardi delle tecnologie informatiche per facilitare l’accesso alle evidenze, scarseggiano le informazioni su come utilizzare le evidenze nel processo decisionale con i pazienti.

Il disallineamento tra i due approcci viene alimentato anche dai programmi di formazione di studenti e professionisti: infatti, anche se le opportunità di apprendere l’EBM sono sempre più numerose, si focalizzano prevalentemente sulla formulazione del quesito clinico e sulla ricerca/valutazione critica delle evidenze (5); mentre la loro integrazione nelle decisioni cliniche è uno step assente o solo accennato che non prevede, in ogni caso, alcun training pratico.

Al fine di integrare i due approcci è innanzitutto indispensabile includere il training sul PDC nell’insegnamento dell’EBM, al fine di colmare una clamorosa lacuna. Un secondo elemento chiave per riallineare i due approcci è rivalutare il ruolo delle linee guida. Se la maggior parte di queste non prende in considerazione le preferenze del paziente nella formulazione delle raccomandazioni (6), alcune suggeriscono al medico di discutere le opzioni diagnostico-terapeutiche con il paziente, senza tuttavia fornire indicazioni su come farlo rendendo le evidenze comprensibili al paziente. Ad esempio, le linee guida dovrebbero raccomandare il PDC in alcune situazioni determinanti: in particolare quando il profilo rischio-beneficio è molto simile tra le diverse opzioni terapeutiche, se le incertezze della ricerca non permettono di identificare l’approccio più efficace, oppure quando il profilo benefici-rischi degli interventi sanitari è strettamente legato alla compliance del paziente (es. terapia con warfarin, dieta, attività fisica, etc).

Anche se l’indispensabile relazione tra EBM e PDC è stata sinora inesistente o, nella migliore delle ipotesi, implicita, nella letteratura internazionale si affacciano incoraggianti segnali di interazione:

  • insegnamento integrato di entrambi gli approcci (7);
  • adattamento di linee guida per facilitare il PDC (8);
  • introduzione di strumenti che riconoscono entrambi gli approcci, quale la definizione delle prioritĂ  della ricerca in partnership con pazienti e medici, al fine di fornire evidenze rilevanti per il processo decisionale (9); oppure, i nuovi standard internazionali per la realizzazione dei patient decision aids (10) che richiedono una descrizione esplicita dei metodi per ricercare, valutare criticamente, selezionare e sintetizzare le evidenze scientifiche (11), allineandosi di fatto alla metodologia di produzione delle evidence-based guidelines;
  • convergenza in joint meeting di conferenze indipendenti sull’EBM e sulla scienza del PDC (12).

Il medico del terzo millennio non dovrebbe più praticare la medicina senza un continuo riferimento a evidenze scientifiche aggiornate, ma nemmeno senza conoscere e rispettare le preferenze informate del paziente. Medici e pazienti devono essere consapevoli e facilitare in maniera attiva la relazione interdipendente dei due approcci perché se l’EBM ha bisogno del PDC e questo necessita dell’EBM, i pazienti hanno bisogno di entrambi (1). Peccato che nel nostro Paese i percorsi formativi universitari e specialistici continuino sistematicamente a ignorare la rilevanza dell’insegnamento integrato dei due approcci, tagliando fuori le nuove generazioni di medici da conoscenze e skills ormai consolidate a livello internazionale.