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Al traguardo i nuovi LEA: ma sono realmente sostenibili?

Editoriale

Al traguardo i nuovi LEA: ma sono realmente sostenibili?
Antonino Cartabellotta

Evidence 2015;7(2): e1000104 doi: 10.4470/E1000104

Pubblicato: 26 febbraio 2015

Copyright: © 2015 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Con solo un mese di ritardo sulla tabella di marcia del Patto per la Salute, il ministro Lorenzin ha messo sul tavolo delle Regioni e del Ministero dell’Economia e Finanze una corposa documentazione (bozza di DPCM corredata da 21 allegati), per convincerli che l’impatto economico dei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) è modesto: 414 milioni di costi aggiuntivi, ovvero lo 0,37% delle risorse messe a disposizione delle Regioni nel 2015.

Il tanto atteso aggiornamento dei LEA, che si propone di sostituire il DPCM 29 novembre 2001, arriva purtroppo in un momento estremamente conflittuale tra Stato e Regioni che, dopo la sottoscrizione del Patto per la Salute, si sono dimostrate incapaci di recuperare i 4 miliardi imposti dal Governo con la Legge di StabilitĂ . Inizialmente, hanno dichiarato di voler rinunciare ai 2 miliardi di aumento del fondo sanitario nazionale; successivamente hanno elaborato una proposta fatta dei soliti tagli lineari; infine hanno concordato con il Governo una sforbiciata di circa 2,34 miliardi, senza definire alcun dettaglio su come e dove tagliare.

In vista del tavolo permanente con le Regioni che dovrebbe concludere il lavoro entro l’estate e considerato che i precedenti tentativi di aggiornamento dei LEA (Turco 2008, Balduzzi 2012) sono andati in fumo — almeno ufficialmente — per mancata copertura finanziaria, è opportuno riflettere su alcune considerazioni che accompagnano la corposa relazione tecnica.

L’incremento di 2.134 milioni di euro, previsto per il 2015, è ormai sfumato, nonostante questa volta il Governo abbia messo le Regioni nella condizione ottimale per attuare un virtuoso processo di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e riallocazione (in servizi essenziali e innovazione). Infatti, la Legge di StabilitĂ  ha ribadito che «i risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilitĂ  delle singole Regioni per finalitĂ  sanitarie». Purtroppo, la posizione delle Regioni — sotto il segno di «no money, no Patto» — testimonia la loro incapacitĂ  di attuare una spending review interna, perchè troppo avvezze a difendere clientelismi per logiche di consenso elettorale che non può certo essere compromesso in vista delle elezioni di primavera. In ogni caso, all’interno della Conferenza Unificata alcune Regioni hanno espresso un forte dissenso rispetto alla linea comune, tanto che Lombardia e Veneto (non a caso due regioni virtuose governate da un partito all’opposizione) hanno depositato il ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge di StabilitĂ .

Alcune ipotesi di recupero di risorse sono poco rea-listiche perché mancano di solide basi scientifiche. In particolare, «la riduzione dei costi di altre prestazioni, a seguito della diffusione dei farmaci innovativi per l’epatite C» non tiene conto che le prove di efficacia di questi farmaci dal costo immorale si limitano oggi alla clearance del virus dell’epatite dal siero, ma non è stato ancora dimostrato che riducono significativamente l’evoluzione dell’epatite C in cirrosi e in epatocarcinoma. In ogni caso, eventuali «riduzioni significative di costo per trapianto di fegato» potrebbero essere monetizzabili non prima di un decennio, considerata la lenta evoluzione dell’epatite C.

La sostenibilità economica dei nuovi LEA punta sulle capacità del sistema di recuperare risorse da servizi e prestazioni inappropriate. Tuttavia, se gli strumenti messi in campo per ridurre l’inappropriatezza organizzativa sono già stati sperimentati con successo, è molto più complesso recuperare risorse dall’inappropriatezza professionale. Questa infatti è condizionata da complesse determinanti socio-culturali, fortemente radicate nel sistema: la medicalizzazione della società che determina aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti, i conflitti di interesse professionali che generano induzione della domanda e aumento dell’offerta e i timori medico-legali che alimentano la medicina difensiva. Senza disinnescare questa “miscela esplosiva”, l’impatto economico dei nuovi LEA potrebbe essere più gravoso del previsto, perché una quota delle nuove prestazioni sarà prescritta/erogata in maniera inappropriata. Inoltre, nella specialistica ambulatoriale, alcuni strumenti previsti per ridurre l’inappropriatezza (quali le “indicazioni prioritarie” e le “condizioni di erogabilità”) potrebbero sortire solo effetti minimi. Senza considerare che i medici potrebbero disattendere l’obbligo di «riportare sulla ricetta la diagnosi o il sospetto diagnostico», nascondendosi dietro la tutela della privacy; senza contare che i «controlli» sull’appropriatezza generano spiccate reazioni anticorpali nella classe medica.

La relazione introduttiva richiama poi uno stralcio fondamentale del Patto per la salute, secondo il quale «deve essere potenziato l’intero sistema di governance della sanitĂ  attraverso l’utilizzo di strumenti forti e necessari per assicurare la sostenibilitĂ  del SSN, per garantire equitĂ  e universalitĂ  del sistema, nonchĂ© LEA in modo appropriato e uniforme». Questo lascerebbe intendere un potenziamento delle capacitĂ  di indirizzo e verifica dello Stato nei confronti delle Regioni al fine di migliorare una delle principali criticitĂ  del nostro SSN, bacchettato anche dal recente rapporto OCSE per «l’esistenza di 21 diversi sistemi sanitari con enormi diseguaglianze sia nell’offerta di servizi, sia negli esiti di salute». A tal fine, la Camera ha recentemente approvato il nuovo articolo 117 del titolo V, separando nettamente le competenze in materia sanitaria tra Stato e Regioni: la potestĂ  legislativa esclusiva in tema di «disposizioni generali e comuni per la tutela della salute e per le politiche sociali» spetta allo Stato, mentre quella «in materia di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali» viene affidata definitivamente alle Regioni. Tuttavia, lo Stato non recupera affatto il diritto a esercitare i poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni inadempienti nell’attuazione dei LEA, perchĂ© la legislazione esclusiva riguarda solo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali — ma non quelli sanitari (!) — che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. In altri termini, l’attuale formulazione dell’art. 117 non assegna in maniera inequivocabile allo Stato il ruolo di garante del diritto alla salute. A questo punto, solo il Senato potrĂ  risolvere questa contraddizione istituzionale per cancellare le diseguaglianze regionali.

In ogni caso, se per una sovrastima dei risparmi e/o una sottostima dei costi l’impatto economico dei nuovi LEA dovesse gravare più del previsto, è indispensabile che lo Stato giochi d’anticipo promuovendo una rigorosa politica di disinvestimento anche con «liste negative» di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate e dal low value, al fine di mettere le Regioni in condizioni di erogare i nuovi LEA. In caso contrario, il traguardo atteso da 15 anni e faticosamente predisposto dal Ministro Lorenzin rischia di svanire, e tra gli sprechi del Ssn dovremo contabilizzare anche l’immane lavoro dei tecnici che hanno contribuito al restyling dei LEA.