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Cancro: una parola che influenza il pensiero e condiziona le scelte

Editoriale

Cancro: una parola che influenza il pensiero e condiziona le scelte
Antonino Cartabellotta

Evidence 2013;5(10): e1000061 doi: 10.4470/E1000061

Pubblicato: 30 ottobre 2013

Copyright: © 2013 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

La diagnosi precoce delle malattie, in particolare delle neoplasie, è un concetto molto affascinante: già nel 1924 Joseph Colt Bloodgood — chirurgo della Johns Hopkins — sosteneva che «la mortalità per cancro sarebbe azzerata se i pazienti chiedessero assistenza medica immediata dopo avere scoperto una formazione estranea in qualunque parte del corpo (1)». Tutti noi, infatti, siamo portati istintivamente a credere che l’identificazione precoce di una lesione neoplastica e la conseguente tempestività del trattamento si traducono nella riduzione di morbilità e mortalità. Di conseguenza, tutti i test di screening vengono sempre accolti con grande entusiasmo da professionisti sanitari e cittadini, anche quando la ricerca non ha ancora dimostrato il loro profilo rischi-benefici (2).

In realtà, l’efficacia degli screening oncologici è molto variabile. Alcuni riducono la mortalità tumore-specifica: lo screening per il tumore al collo dell’utero (Pap test, test per l’Human Papilloma Virus), per il carcinoma del colon-retto (sangue occulto nelle feci, endoscopia), per quello della mammella (mammografia) e per il carcinoma polmonare (TAC spirale a basso dosaggio). Viceversa, altri screening oncologici hanno un valore molto discutibile, o addirittura nullo: il CA125 e l’ecografia transvaginale per il carcinoma ovarico, il PSA per quello della prostata e la radiografia del torace per il carcinoma polmonare. Peraltro, la presunta efficacia di alcuni screening viene spesso rafforzata da fuorvianti strategie di comunicazione: infatti, qualunque test che anticipa il momento della diagnosi, pur non modificando la data o la causa della morte, aumenta artificiosamente la sopravvivenza, senza ridurre la mortalità.

Indipendentemente dall’efficacia nel ridurre la mortalità tumore-specifica, tutti i test utilizzati per lo screening e la diagnosi precoce presentano un rischio spesso sottovalutato: l’overdiagnosis, ovvero l’identificazione di lesioni non evolutive che, tuttavia, soddisfano i criteri istologici di forme cancerose e pre-cancerose (3). Più in generale, oggi si parla di overdiagnosis quando in soggetti asintomatici viene diagnosticata una malattia che non sarà mai sintomatica, né causa di mortalità precoce (4).

In oncologia, l’overdiagnosis risulta dalla coesistenza di grandi serbatoi di lesioni occulte non evolutive con la crescente sensibilità dei test diagnostici, che ne permettono una precoce identificazione sia nell’ambito dei programmi di screening oncologici e di iniziative di diagnosi precoce, sia in maniera assolutamente casuale (i cosiddetti “incidentalomi”) (3). Ovviamente, se queste lesioni non evolutive vengono etichettate con termini quali “cancro” o “carcinoma in situ” — parole che generano ansia e paura — le scelte delle persone ne saranno fortemente condizionate.

Nell’ultimo decennio l’innovazione tecnologica, con il progressivo aumento della sensibilità dei test diagnostici, se da un lato ha permesso di identificare lesioni sempre più piccole e precoci, dall’altro ha amplificato il fenomeno dell’overdiagnosis. Oggi infatti, test di laboratorio, tecniche di imaging e varie tipologie di sonde sono in grado di pescare sempre più a fondo nel serbatoio dei tumori latenti e delle lesioni pre-cancerose, identificando lesioni non fatali e a lenta crescita che hanno progressivamente diluito l’epidemiologia delle forme aggressive e fatali che in passato dominavano le diagnosi di cancro. Il progressivo aumento dell’incidenza di alcune neoplasie non accompagnata da una riduzione della mortalità tumore-specifica dimostra che l’overdiagnosis è un fenomeno comune (1,5,6): in particolare per il melanoma e il carcinoma della tiroide e, in minor misura, per quelli della mammella e del polmone.

Ovviamente, una volta identificate, tutte le lesioni conseguenti all’overdiagnosis comportano la prescrizione di ulteriori test diagnostici anche invasivi e terapie di fatto inutili (overtreatment), ma con gravi effetti collaterali: dalla tossicità di chemioterapia e radioterapia, alla sepsi conseguente alla biopsia, alle complicanze e alla mortalità post-operatorie e, in casi estremi, anche il suicidio (7). Tutto questo fa lievitare sia i costi del sistema sanitario, sia le spese individuali, determinando anche l’impoverimento dei pazienti oncologici (8).

Purtroppo si è progressivamente affermata la tendenza a infondere un senso di grande vulnerabilità nei confronti del cancro per poi offrire speranze, non sempre realistiche e spesso illusorie (5). Grazie al supporto di un linguaggio persuasivo e degli slogan del marketing sociale, tutte le possibili strategie di diagnosi precoce dei tumori, anche se di efficacia non documentata, rappresentano un messaggio chiave della prevenzione (5).

La parola “cancro”, oggi utilizzata per descrivere una gamma sempre più ampia di lesioni, mantiene una enorme carica di paura, influenzando negativamente il pensiero e condizionando le scelte delle persone. A fronte di lesioni non invasive definite con termini che implicano l’inevitabilità del cancro (es. carcinoma duttale in situ), persone sane vengono immediatamente trasformate in pazienti oncologici ai quali offrire interventi terapeutici accettati senza esitazioni, nonostante i benefici incerti e i rischi sicuri: prostatectomie radicali in neoplasie della prostata a basso grado di malignità e non progressive, mastectomie bilaterali per lesioni in situ senza chiare evidenze di riduzione del rischio di mortalità per carcinoma della mammella.

È possibile fronteggiare questo fenomeno, il cui impatto clinico, economico, sociale e medico-legale è in gran parte ancora sconosciuto? Una prioritĂ  rilevante è indubbiamente rappresentata dalla revisione della terminologia: come dichiarato da Otis Brawley dell’American Cancer Society, infatti, «occorre una definizione di cancro adatta al 21° secolo, che soppianti la definizione ottocentesca del termine attualmente in uso (9)». GiĂ  nel 2009 una conferenza dei National Institutes of Health aveva proposto di modificare la definizione di “carcinoma duttale in situ” in “neoplasia intraepiteliale duttale (10)”.

Più recentemente, nel marzo 2012, il National Cancer Institute ha riunito un gruppo di esperti per discutere come fronteggiare il fenomeno dell’overdiagnosis e dell’overtreatment in oncologia (11). Il team ha suggerito innanzitutto che è indispensabile e urgente rivedere una terminologia obsoleta e fuorviante, riservando la definizione di “cancro” e di “carcinoma” esclusivamente a quelle lesioni che hanno probabilità di evolvere se non trattate. Ad esempio, per quelle dell’ovaio, potrebbero essere utilizzate definizioni come “neoplasia intraepiteliale cervicale” e “tumori epiteliali a bassa malignità”. Il team ha anche suggerito di riclassificare le lesioni a basso rischio come IDLE (InDolent Lesion of Epithelial origin), ovvero lesione indolente di origine epiteliale (11). Una seconda priorità, altrettanto rilevante è costituita dalla ricerca sui test molecolari predittivi che permettono di distinguere le lesioni indolenti da quelle evolutive (11), la cui rilevanza è documentata dal progetto Early Detection Research Network, finanziato dal National Cancer Institute (12).

Al di là della revisione della terminologia e dei progressi della scienza, medici, pazienti e cittadini dovrebbero acquisire una maggiore consapevolezza dei pro e contro degli screening oncologici (13), tenendo conto che all’aumentare della sensibilità dei test diagnostici, l’overdiagnosis e il conseguente overtreatment saranno sempre più frequenti.

Infine, è indispensabile arginare la percezione professionale e sociale, istintivamente molto attraente, che in oncologia la diagnosi precoce costituisce sempre e comunque la migliore opzione. Pertanto, se è fondamentale favorire l’aderenza a tutti gli screening oncologici di provata efficacia, è altrettanto indispensabile contrastare tutte le pseudo-strategie di diagnosi precoce di massa che medicalizzano la società, sprecano preziose risorse e, a fronte di benefici non documentati, aumentano il rischio clinico della popolazione.