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Standard ospedalieri: uno strumento per garantire uniformità ed equità dell’assistenza

Conference Report

Standard ospedalieri: uno strumento per garantire uniformità ed equità dell’assistenza
Antonino Cartabellotta

Evidence 2015;7(12): e1000125 doi: 10.4470/E1000125

Pubblicato: 4 dicembre 2015

Copyright: © 2015 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Brief report

Direttori generali, sanitari e amministrativi e responsabili della programmazione sanitaria regionale hanno partecipato il 20 novembre alla convention “Innovazioni organizzative tra ospedale e cure primarie. La chiave per la sostenibilità del SSN”, organizzata dalla Fondazione GIMBE per condividere con il top management della sanità italiana opportunità e criticità del “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”, uno dei pochi traguardi raggiunti dal Patto per la Salute.

Nella sessione inaugurale Nino Cartabellotta — Presidente della Fondazione GIMBE — ha presentato le previsioni sul trend del finanziamento 2016-2025, da cui emerge che la sostenibilità del SSN è strettamente legata al processo di disinvestimento da strutture, processi e prestazioni inefficaci, dannosi, inappropriati e dal low value. In questo processo è indispensabile l’utilizzo degli strumenti di clinical governance per favorire il trasferimento delle migliori evidenze alle pratiche professionali e alla riorganizzazione dell’assistenza sanitaria, al fine di ridurre gli sprechi conseguenti al sovra- e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie e all’inadeguato coordinamento dell’assistenza tra ospedale e cure primarie. In particolare, un’adeguata riorganizzazione della rete ospedaliera guidata dagli standard e dai dati del Programma Nazionale Esiti permetterebbe alle Regioni un cospicuo disinvestimento da sprechi e inefficienze che, oltre a consumare preziose risorse, peggiorano gli esiti di salute delle persone.

Mario Braga – Agenas – ha analizzato le relazioni tra diseguaglianze e sostenibilità, precisando che un SSN sostenibile deve centrare quattro obiettivi: rispettare le finalità costitutive, soddisfacendo i bisogni di salute e di servizi sanitari degli individui e della collettività; produrre benessere; essere dinamico, reagendo e adattandosi a cambiamenti culturali, sociali, tecnologici, economici, di aspettative ed epidemiologici; rispettare il futuro, non compromettendo bisogni e aspettative delle prossime generazioni.

La sessione interattiva ha permesso di confrontare le posizioni dei partecipanti sulle sei sezioni principali del documento sugli standard ospedalieri: classificazione delle strutture ospedaliere, standard di strutture per singola disciplina, volumi ed esiti, reti ospedaliere, standard generali di qualità e continuità ospedale-territorio. Dai risultati della survey ha preso il via il confronto tra i vari stakeholders sugli standard ospedalieri come garanzia di equità e uniformità dell’assistenza su tutto il territorio nazionale. Ettore Attolini (ARES Puglia), Mario Braga (Agenas), Tiziano Carradori (AOU Ferrara), Francesca Moccia (Cittadinanzattiva), Fausto Nicolini (FIASO), Paolo Petralia (AOPI), Costantino Troise (ANAAO ASSOMED), Franco Vimercati (FISM) e Gian Paolo Zanetta (Federsanità ANCI) hanno concordato all’unisono che gli standard ospedalieri rappresentano un eccellente punto di partenza, ma che numerose criticità organizzative della sanità italiana — enfatizzate dalla eterogeneità di 21 sistemi sanitari — rendono necessario sia un progressivo adeguamento del documento, facendo tesoro dei fattori facilitanti e degli ostacoli identificati da Regioni e Aziende sanitarie nella fase di applicazione, sia un costante e continuo coordinamento di Agenas.

Il report integrale dell’evento è disponibile a: www.gimbe.org/AD2015

In condizioni di crisi economica, tre sono le strategie che un paese può mettere in campo per garantire la sostenibilità del proprio sistema sanitario:

  • Ridurre il finanziamento pubblico. Strada ampiamente battuta, visto che dal 2012 la politica ha disinvestito pesantemente dal SSN. Infatti, dopo i 25 miliardi sottratti da varie manovre finanziarie nel periodo 2012-2015, la sanità pubblica ha recentemente lasciato per strada altri 6,8 miliardi, rispetto alle risorse definite dal Patto per la Salute.
  • Identificare altri canali di finanziamento. Anche se i ticket rappresentano uno strumento impopolare per la politica e, oggi, poco sostenibile da una popolazione fortemente impoverita, le Regioni mantengono autonomia di scelta come dimostrano i variegati interventi sulla compartecipazione alla spesa dei cittadini. Nel frattempo, l’intermediazione assicurativa si sta insinuando subdolamente tra incertezze delle Istituzioni e minori tutele della sanità pubblica, rischiando di trasformare inesorabilmente in un sistema misto il modello di un SSN pubblico, equo e universalistico.
  • Ridurre gli sprechi e aumentare il value dell’assistenza, attraverso un rigoroso processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze e riallocazione delle risorse in servizi essenziali e innovazioni.

Quest’ultima strategia è stata lanciata tra le righe del Patto per la Salute, dove si afferma che “I risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie”. Tuttavia, a seguito del riaccendersi del conflitto istituzionale tra Stato e Regioni, la maggior parte delle misure previste sono rimaste inattuate: tra i pochi traguardi raggiunti spicca l’entrata in vigore del “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 giugno 2015 (1). Il regolamento avvia la fase applicativa del processo di qualificazione e riorganizzazione della rete ospedaliera che, insieme a quella delle cure primarie, costituisce la fondamentale linea di programmazione sanitaria per la sostenibilità del SSN. Il regolamento promuove standard organizzativi secondo il modello di clinical governance, i cui strumenti utilizzati secondo un approccio di sistema concorrono a sviluppare le capacità necessarie a erogare un’assistenza di qualità, sostenibile, responsabile e centrata sui bisogni della persona.

Considerato che la sostenibilità del SSN non è una questione esclusivamente finanziaria, perché la salvaguardia della sanità pubblica dipende dalla capacità di ottenere il massimo ritorno in termini di salute dalle risorse utilizzate, un’adeguata riorganizzazione della rete ospedaliera guidata dagli standard ospedalieri e dai dati del Programma Nazionale Esiti (PNE) permetterebbe alle Regioni un cospicuo disinvestimento da sprechi e inefficienze che, oltre a consumare preziose risorse, peggiorano gli esiti di salute delle persone.

Considerato che secondo i dati del PNE 2015 (2) nell’ambito dell’assistenza ospedaliera permangono numerose sacche di inefficienza, di inappropriatezza e di outcome sfavorevoli per i pazienti, Regioni e Aziende sanitarie sono urgentemente chiamate ad utilizzare questi dati per la riorganizzazione dei servizi e per l’implementazione di percorsi assistenziali aziendali e interaziendali, finalizzati a sviluppare le reti e potenziare la continuità di cure con il territorio.

Per guidare Regioni, Aziende Sanitarie e professionisti in questo ambizioso processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze la Fondazione GIMBE ha adattato al contesto italiano la tassonomia di Don Bervick degli sprechi in sanità (3), stimando un impatto di oltre € 25 miliardi/anno, assorbiti da sei categorie di sprechi: sovrautilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci e inappropriate, frodi e abusi, tecnologie sanitarie e beni e servizi non sanitari acquistati a costi eccessivi, sottoutilizzo di servizi e prestazioni sanitarie efficaci e appropriate, inadeguato coordinamento dell’assistenza (4). è stato quindi sviluppato il framework per un efficace disinvestimento nel SSN — oggetto di un protocollo di intesa siglato con l’Agenas (5) — basato su un approccio di sistema che sotto una regia nazionale deve estendersi a cascata, attraverso le autonomie regionali, all’organizzazione ed erogazione di servizi e prestazioni a livello delle Aziende sanitarie.

Se vogliamo realmente mantenere un modello di sanità pubblica, equa e universalistica il tema della sostenibilità deve essere posizionato su un orizzonte temporale più ampio su cui effettuare una programmazione di medio-lungo periodo, partendo da alcune ragionevoli certezze:

  • Il DEF 2015 lascia intendere che la percentuale del PIL destinato alla sanità pubblica diminuirà sino al 2020 (6.6%) per poi tornare a crescere (6). In ogni caso, considerato che tutti i governi europei stanno disinvestendo dalla sanità, l’incremento complessivo del FSN sino al 2025 difficilmente sarà superiore ai 10 miliardi di euro.
  • La spesa privata out-of-pocket (€ 33 miliardi nel 2014) difficilmente potrà aumentare oltre € 1 miliardo/anno considerato il notevole impoverimento della popolazione; possibile solo che il carico sui cittadini venga alleggerito da un ingresso ben gestito del pilastro assicurativo nel SSN.
  • In assenza di un’adeguata riorganizzazione dell’assistenza, le eventuali risorse aggiuntive (pubbliche e private) finirebbero in parte per alimentare gli sprechi (3).
  • Una consistente quota della spesa sanitaria può essere “riqualificata” attraverso il processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze e riallocazione in servizi essenziali e innovazioni.

Considerato che, secondo le stime della Fondazione GIMBE (figura), il tendenziale a 10 anni identifica nella riqualificazione della spesa sanitaria la principale fonte di incremento di risorse per il SSN (7), è indispensabile che le Istituzioni diano chiari segnali di voler realmente preservare un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico. In particolare spetta al Governo:

  • Offrire ragionevoli certezze sulle risorse da destinare alla sanità pubblica, nella consapevolezza che il definanziamento si sta pericolosamente avvicinando a limiti che riducono l’aspettativa di vita della popolazione.
  • Avviare un’adeguata governance per regolamentare l’intermediazione assicurativa, identificando quali prestazioni, idealmente solo quelle non essenziali, possono essere finanziate da risorse private.
  • Rendere realmente continuo l’aggiornamento dei LEA, i criteri di appropriatezza clinica e organizzativa e potenziare gli strumenti di indirizzo e verifica sui 21 sistemi regionali per garantire equità d’accesso a tutte le persone e coordinare il processo di disinvestimento.

Dal canto loro, le Regioni, considerato che:

  • i “risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto per la Salute rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie”
  • “il conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali da parte dei direttori generali […] comporta la loro decadenza automatica in caso di inadempimento”
  • sono chiamate dalla Legge di Stabilità a concorrere alla finanza pubblica per € 3,98 miliardi nel 2017 e € 5,48 per gli anni 2018 e 2019, nel rispetto dei LEA e con la certezza che le risorse recuperate rimangono in sanità

devono avviare e mantenere un rigoroso processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze, responsabilizzando e coinvolgendo attivamente le aziende sanitarie e queste, a cascata, professionisti sanitari e cittadini. In alternativa, difficilmente i tagli per la sanità non saranno lineari perché sarà il Governo a decidere dove tagliare, come previsto dall’art. 34 della Legge di Stabilità.



APPENDICE. I RISULTATI DELLA SURVEY

La sessione interattiva ha permesso di confrontare le posizioni dei partecipanti sulle sei sezioni principali del documento sugli standard ospedalieri: classificazione delle strutture ospedaliere, standard di strutture per singola disciplina, volumi ed esiti, reti ospedaliere, standard generali di qualità e continuità ospedale-territorio.

1. Classificazione delle strutture ospedaliere

  • Il 74% ritiene che, in caso di incongruenze, il criterio primario per classificare una struttura ospedaliera (base, I livello, II livello) debba essere l’offerta di strutture e servizi, piuttosto che il bacino d’utenza e il tipo di azienda.
  • Nonostante pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari sia di competenza regionale, il 90% ritiene che i requisiti minimi di accreditamento delle strutture ospedaliere, definiti da ciascuna Regione, dovrebbero essere allineati a quanto definito dal Regolamento sugli standard ospedalieri, al fine di garantire uniformità di offerta di servizi su tutto il territorio nazionale.

2. Standard di strutture per singola disciplina

  • Riguardo al dimensionamento dei bacini di utenza per definire gli standard di strutture per singola disciplina/specialità, il 76% lo ritiene adeguato solo per alcune discipline/specialità, il 18% per tutte e il 5% inadeguato.
  • Analizzando i fattori utilizzati per il dimensionamento dei posti letto per acuti (3/1.000 abitanti), il 50% ritiene che sia stato influenzato (al ribasso) dal tasso di ospedalizzazione (160/1.000 abitanti), il 28% dall’indice di occupazione (80-90%), il 11% dalla degenza media (<7 gg).
  • Ulteriori fattori da utilizzare per “aggiustare” il dimensionamento dei posti letto per acuti potrebbero essere la presenza/assenza di reti (42%), la mobilità sanitaria (34%), la percentuale di PL privati accreditati (15%).

3. Volumi ed esiti

  • Le attività di audit promosse da Agenas costituiscono un utile strumento per consentire agli ospedali di identificare le criticità ed avviare un piano di miglioramento. Tuttavia, i partecipanti ritengono necessario definire un limite temporale: 1 anno (63%), 2 anni (24%), 3 anni (8%).
  • Superati i limiti temporali definiti, il 79% ritiene che la disattivazione del servizio (nel pubblico) o la revoca dell’accreditamento (nel privato) debba essere messo in atto quale strumento di governance per i presidi che mantengono performance inadeguate.

4. Reti ospedaliere

  • L’ostacolo principale per attivare modelli hub & spoke viene riconosciuto nella resistenza al cambiamento professionale e organizzativo dal 62% dei presenti. Altri fattori identificati sono la competizione tra aziende sanitarie (14%), i contratti di lavoro/accordi sindacali (11%) e l’inadeguata informazione ai cittadini (11%).
  • Il 64% ritiene che l’implementazione delle reti può essere facilitata differenziando le tariffe di rimborso tra centri hub & spoke.

5. Continuità ospedale-territorio

  • La riorganizzazione integrata tra ospedale e territorio viene ostacolata fondamentalmente da tre fattori: limitata offerta di servizi territoriali (32%) che possano consentire la de-ospedalizzazione, carenza di percorsi integrati (32%), cultura ospedalocentrica della popolazione (29%).
  • Solo il 3% ritiene che l’Accordo Collettivo Nazionale per la medicina convenzionata sia compatibile con la riorganizzazione delle cure primarie proposta dal Patto per la Salute: per il 51% occorrono modifiche rilevanti, per il 30% minime; il 18% lo ritiene invece incompatibile.
  • Secondo il 34% dei partecipanti le attuali modalità di gestione della libera professione non ostacolano la riorganizzazione integrata ospedale-territorio. Gli altri due terzi ritengono che l’influenza sia minima (14%), media (26%), notevole (26%).

6. Standard generali di qualità

Il documento sugli standard ospedalieri riporta che “Le strutture ospedaliere declinano le dimensioni della clinical governance, secondo linee di indirizzo e profili organizzativi […]. Per tutti i presidi ospedalieri (base, I livello, II livello) lo standard è costituito dalla documentata e formalizzata presenza di sistemi o attività di”:

Gestione del rischio clinico

  • Sistema di segnalazione degli eventi avversi
  • Identificazione del paziente, checklist operatoria, scheda unica di terapia
  • Sistemi di reporting delle infezioni correlate all’assistenza, sorveglianza microbiologica, adozione procedure sanificazione, disinfezione e sterilizzazione, protocolli profilassi antibiotica e procedura per il lavaggio delle mani
  • Programmi di formazione specifica

Evidence Based Medicine

  • Implementazione di linee guida
  • Definizione di protocolli diagnostico-terapeutici

Health Technology Assessment

  • Acquisizione delle valutazioni delle tecnologie sanitarie prodotte a livello nazionale e internazionale
  • Partecipazione a reti di HTA, facenti capo alla rete nazionale HTA coordinata dalla Agenas

Valutazione e miglioramento continuo delle attività cliniche

  • Misurazione della performance clinica e degli esiti
  • Audit clinico
  • Valutazione della qualità percepita dell’assistenza dai cittadini/pazienti

Documentazione sanitaria, comunicazione, informazione e partecipazione del cittadino/paziente

  • Integrazione dei sistemi informativi relativi alla trasmissione di informazioni sia di carattere gestionale che sanitario
  • Disponibilità delle informazioni da rendere ai cittadini via web o con altri metodi di comunicazione
  • Procedure di comunicazione con i pazienti per il coinvolgimento attivo nel processo di cura

Formazione continua del personale

  • Rilevazione e valutazione sistematica dei bisogni formativi, con particolare attenzione alla introduzione di innovazioni tecnologiche e organizzative nonché all’inserimento di nuovo personale
  • Valutazione dell’efficacia dei programmi formativi

Nell’ambito della survey è stato chiesto ai partecipanti di assegnare uno score 1-4 al grado di attuazione degli standard generali di qualità nella propria Azienda. I risultati riportati in tabella dimostrano che, ad eccezione della gestione del rischio clinico, l’implementazione degli altri strumenti di clinical governance è ancora ben lontana da standard accettabili.