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Audit clinico: questo sconosciuto (II). Metodologie di pianificazione e conduzione

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Audit clinico: questo sconosciuto (II). Metodologie di pianificazione e conduzione
Antonino Cartabellotta

GIMBEnews 2009;6:4-5

Pubblicato: 9 settembre 2009

Copyright: © 2009 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

Anche se non esistono evidenze di buona qualità sulle modalità di conduzione dell’audit clinico, diversi studi osservazionali e il “buon senso” dimostrano che due elementi ne condizionano in maniera importante il successo: il commitment dell’organizzazione sanitaria e la presenza di una struttura di coordinamento. Per tali ragioni, nel descrivere le metodologie di pianificazione e conduzione dell’audit clinico, faremo riferimento a un’Azienda sanitaria con struttura dipartimentale che - in un più ampio sistema di clinical governance - promuove e sostiene l’audit clinico grazie al coordinamento di un ufficio di staff.

1. Selezione delle priorità
In linea con il modello organizzativo di un’azienda sanitaria a struttura dipartimentale, se la definizione delle priorità aziendali spetta al Collegio di Direzione, quelle dipartimentali dovrebbero essere definite dal Comitato di Dipartimento. La scelta della priorità dovrebbe essere condizionata da diversi fattori: consistente impatto sulla salute (frequenza, gravità, qualità della vita), consumo di risorse, variabilità della pratica clinica, disponibilità di evidenze di grado elevato. Per facilitare il processo decisionale, nel caso in cui le proposte siano molto numerose, si può ricorrere a strumenti di consenso formale (metodo RAND, metodo Delphi). Inoltre, in questa fase è fondamentale integrare l’audit clinico con i meccanismi di governo aziendale, ad esempio mediante l’inserimento nel processo di budget degli indicatori che l’audit si propone di misurare. Altrimenti... perchè i professionisti dovrebbero impegnarsi a raccogliere indicatori di qualità se il budget del loro dipartimento dipende esclusivamente da quelli economico-finanziari?

2. Definizione degli standard assistenziali
Uno standard assistenziale ideale dovrebbe avere tre requisiti: essere evidence-based, condiviso tra i professionisti e adattato al contesto locale, elementi che massimizzano la probabilità della sua implementazione. La metodologia ideale per definire gli standard prevede l’adattamento locale di linee guida - previa validazione con lo strumento AGREE - in percorsi assistenziali (PA), condivisi tra tutti i livelli professionali.

Dalle raccomandazioni cliniche contenute nei PA derivano gli indicatori di processo che l’audit clinico si propone di misurare e che dovrebbero essere riportati secondo un format standardizzato (box).

Raccomandazione clinica. Tutti i pazienti con infarto acuto del miocardio (IMA) dovrebbero ricevere ASA entro 3 ore dall’ammissione in ospedale
Tipo indicatore. Processo
Categoria indicatore. Appropriatezza
Numeratore. Tutti i pazienti con diagnosi confermata di IMA che hanno ricevuto ASA entro 3 ore dal ricovero
Denominatore: pazienti inclusi. Tutti i pazienti con diagnosi confermata di IMA
Denominatore: pazienti esclusi. Sanguinamento in atto al momento del ricovero, allergia all’ASA, documentate motivazioni per il non utilizzo dell’ASA (elevato rischio di sanguinamento, rifiuto del paziente)
Target accettabile. 90%
Target ideale. ≥ 95%

Oltre che derivare da percorsi assistenziali aziendali, gli indicatori possono essere anche identificati nelle banche dati internazionali (National Quality Measures Clearinghouse, National Centre for Health Outcomes). Infine, considerato che i requisiti fondamentali degli indicatori sono la robustezza e la misurabilità, durante lo sviluppo del set di indicatori è opportuno definire le fonti dei dati (cartella clinica medica e infermieristica, database aziendali) dove identificare numeratore e denominatore.

3. Confronto della pratica corrente con gli standard
La verifica dell’appropriatezza della pratica clinica rispetto agli standard definiti prevede di:

  • Predisporre la scheda di raccolta dati e il relativo database: molto utile per tale scopo EpiInfo, un software gratuito che permette anche di analizzare i dati e realizzare grafici per l’audit report.
  • Definire il periodo temporale di riferimento per la conduzione dell’audit.
  • Calcolare, utilizzando specifici software, un campione di pazienti rappresentativo della casistica assistita nel periodo definito.
  • Analizzare la documentazione clinica ed eventualmente i database aziendali per estrarre i dati necessari alla costruzione degli indicatori

E’ in questa fase che si incontrano i maggiori ostacoli pratici: infatti, considerata la limitata diffusione delle cartelle cliniche elettroniche, l’insoddisfacente qualità della documentazione clinica condiziona negativamente la conduzione dell’audit. Ecco due consigli pratici: innanzitutto, occorre verificare se esistono database aziendali che archiviano, anche in parte, i dati necessari. In secondo luogo, è opportuno effettuare un pre-audit su 10-15 cartelle per verificare la qualità della documentazione clinica. Se i dati necessari per la costruzione degli indicatori sono disponibili si può procedere con l’audit retrospettivo; altrimenti, se la qualità dei dati è insoddisfacente, è necessario predisporre un’audit prospettico.

4. Identificazione delle inappropriatezze
L’analisi dei dati raccolti fornisce una stima quantitativa del grado di appropriatezza degli interventi erogati, in relazione ai target definiti. Questo permette di identificare le inappropriatezze, in eccesso e in difetto, oggetto di miglioramento nelle fasi successive.

Case study
Setting. Dipartimento di Medicina Interna di un’Azienda Ospedaliera.
Priorità. Appropriatezza della profilassi anti-trombotica in pazienti internistici. Standard assistenziali. Adattamento locale e condivisione della linea guida “Prevention of Venous Thromboembolism American College of Chest Physicians. 8th edition, June 2008”.
Metodologia. Realizzazione della scheda di raccolta dati con Epi Info e calcolo di un campione rappresentativo di cartelle cliniche: 114 pazienti ricoverati nel periodo novembre-dicembre 2007.
Inappropriatezze identificate.
  • Indicatore 1. Il tasso di appropriatezza della profilassi farmacologica nei pazienti medici acuti con almeno un fattore di rischio e senza controindicazioni era del 35% (2/3 pazienti non ricevevano la profilassi indicata).
  • Indicatore 2. Il tasso di inappropriatezza della profilassi farmacologica nei pazienti medici acuti con almeno un fattore di rischio e con controindicazioni era del 25% (1/4 pazienti riceveva la profilassi in presenza di controindicazioni).
Piano di miglioramento.
  • Indicatore 1. Tasso di appropriatezza > 70% entro 6 mesi e > 90% entro 12 mesi.
  • Indicatore 2. Tasso di inappropriatezza < 10% entro 6 mesi e < 5% entro 12 mesi.

5. Implementazione del cambiamento
Vent’anni di ricerca sulle strategie per modificare i comportamenti professionali hanno prodotto alcune certezze:

  • Non esistono ricette miracolose (magic bullets) per modificare i comportamenti professionali nelle organizzazioni sanitarie, ma singole strategie di efficacia documentata da revisioni sistematiche di trial.
  • Il piano di cambiamento più efficace è quello multifattoriale, che prevede l’utilizzo di strategie d’implementazione multiple, selezionate in relazione alla loro efficacia, alla fattibilità locale e alla priorità definita.
  • La fase di implementazione è un continuum che, in relazione ai risultati ottenuti, può richiedere la modifica delle strategie utilizzate per raggiungere i target desiderati.
  • Per ottenere un cambiamento persistente dei comportamenti professionali occorrono mediamente 18 mesi.
  • Le strategie di implementazione “consistentemente” efficaci sono: le visite educazionali (ribattezzate in italiano “farmacista facilitatore”), i workshop clinici interattivi e i reminder (cartacei o elettronici). Quelle di variabile efficacia includono l’audit & feedback, il processo di consenso professionale, il coinvolgimento degli opinion leader locali e le strategie mediate dai pazienti. Tra gli interventi di inefficacia documentata, paradossalmente, si trovano quelli che assorbono le maggiori risorse: la distribuzione di materiale didattico, le lezioni frontali. Infine, la ricerca non è ancora conclusiva per i meccanismi di incentivo-disincentivo (pay-for-performance).

6. Verifica dell’efficacia del cambiamento
L’audit clinico dovrebbe essere stabilmente integrato nella pratica professionale e, di conseguenza, i dati dovrebbero essere raccolti in modo continuo. In realtà, nella quasi totalità degli audit pubblicati vengono ripetuti cicli successivi a intervalli di tempo predefiniti, in relazione agli obiettivi e, ovviamente, alla numerosità della casistica. In genere, rilevazioni mensili o trimestrali permettono di valutare l’entità del cambiamento e di modificare il piano di implementazione quando i risultati sono inferiori a quelli attesi.

(continua nel prossimo numero)

KEY POINTS

  • L’audit clinico, per essere efficace, richiede il commitment dell’organizzazione sanitaria e la presenza di una struttura di coordinamento
  • Collegio di Direzione e Comitati di Dipartimento dovrebbero definire, rispettivamente, le prioritĂ  aziendali e quelle dipartimentali
  • Gli indicatori di processo da misurare con l’audit clinico possono essere derivati da percorsi assistenziali o identificati in banche dati ad hoc
  • Nella fase di confronto della pratica corrente con gli standard si presentano numerosi ostacoli pratici
  • L’analisi dei dati raccolti con l’audit fornisce una stima quantitativa del grado di appropriatezza delle prestazioni erogate
  • Il piano di cambiamento deve essere progettato tenendo conto dell’efficacia delle strategie di implementazione
  • La struttura circolare permette di ripetere numerosi cicli di audit per raggiungere e mantenere target di eccellenza